Il suono dondolante delle campane prima di tutto. Poi questo vagare apparentemente casuale in cui cerchi di trovare un senso, una direzione. I belati e i fischi. L’abbaiare di un cane, che ci deve essere, da qualche parte, ma non si vede. Tutto intorno, il paesaggio mutevole, le soste non richieste ma in fondo così attese, e le attese, solo apparentemente tutte uguali. Siamo in marcia sulle vie della transumanza. Muoversi con un gregge o una mandria è un’esperienza diversa dal solito cammino. Perché se il cammino elogia la solitudine, persino la pratica sovversiva per dirla con l’alpinista Erling Kagge, la transumanza è innanzi tutto evento collettivo. È un richiamo alla comunità, ai momenti di festa condivisa, all’andare insieme. Non ci deve quindi sorprendere se, in un tempo che dice di voler recuperare ogni lentezza, il fascino verso un vagare così arcaico si faccia sentire. La chiave di volta è stato l’inserimento, nel 2019, della transumanza nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale Unesco, ma la notizia è che si sta lavorando, con un coinvolgimento mondiale, al riconoscimento come patrimonio materiale e culturale, mentre ci si prepara agli eventi del 2026, che le Nazioni Unite hanno già dichiarato Anno Mondiale dei Pascoli e dei Pastori.

Un pastore partecipa alla transumanza di Bressanvido
Pecore in trionfo
«Intorno alle vie della transumanza c’è un grande entusiasmo. All’ultimo Salone Internazionale dell’Agricoltura di Parigi, abbiamo fatto passare sotto l’Arco di Trionfo 2.200 pecore; in Molise la transumanza è uno dei temi cardine della programmazione finanziaria, e Calascio, il paesino lambito dalla discesa delle greggi dall’altopiano di Campo Imperatore, dove è in progetto l’apertura di una scuola per pastori, si è appena aggiudicato i 20 milioni di euro del PNRR per “Attrattività dei Borghi”. Volevamo essere un motore culturale e forse oggi possiamo dire di essere a buon punto», dice Antonio Corrado di Abruzzo Avventure e uno dei massimi esperti di transumanza per la Regione Abruzzo. Per anni è stato accanto a Pierluigi Imperiale, il promotore del Tratturo Magno (venuto a mancare lo scorso agosto): quasi 250 km, 9 giornate di cammino e 10 mila metri di dislivello, percorsi da una staffetta di 15 pastori e quasi 6 mila pecore. Si parte il 29 settembre dal piazzale della basilica di Santa Maria di Collemaggio a L’Aquila, la città dei signori della transumanza, per arrivare l’8 ottobre in piazza dell’Epitaffio a Foggia. «In 16 anni non ci siamo mai fermati, non c’è riuscito il terremoto, né il Covid, e ora ripartiremo anche in nome di Pierluigi. Ogni anno sulle vie della transumanza arrivano sempre più persone, anche dall’estero. Ogni tappa è una celebrazione. Dall’abbeverata al lago Sinizzo a San Demetrio, ai concerti improvvisati alla conca di Capestrano prima di passare il valico di Forca di Penne, fino alle feste nel comune di Rossano e San Paolo di Civitate. Anche se l’arrivo più emozionante è sempre l’incontro con il mare a Casalbordino. Il vero patrimonio però è il legame creatosi con queste terre e paesi». Un patrimonio che ora in molti stanno cercando istituzionalizzare, per farne uno strumento di valorizzazione del territorio, una nuova destinazione, un nuovo viaggio.

Gli alti pascoli del Parco della Lessinia @ F.Pettene
Per un nuovo turismo lento
In Abruzzo (e in particolare la Camera di Commercio di Chieti e Pescara) si lavora da tempo alla promozione dei tratturi in chiave turistica. Così anche in Molise. D’altra parte, in questo tratto d’Italia, le vie segnate da tratturi, bracci e tratturelli, sono un centinaio. Chilometri e chilometri di vie della transumanza. Dall’Aquila a Foggia, da Lucera a Castel di Sangro, da Venosa a Ofanto, da Gravina a Matera, e così via. Esiste un progetto, Le Vie dei Tratturi in Parcovie 2030, la rivalorizzazione di alcuni tratti è già iniziata (come la prima parte del Centurelle – Montesecco, ricco di chiese tratturali e in cui il Club per l’Unesco di Chieti con Abruzzo Avventure organizza in autunno, tra Roccamontepiano e Serramonacesca, passeggiate narrate con il sottofondo di belati), ma il recupero totale è utopia. «Storicamente i tratturi sono stati il primo esempio di extra territorialità. Strade larghe 111 metri libere da ogni condizionamento del potentato locale che hanno fatto dell’Abruzzo una delle regioni più ricche del Mediterraneo. L’Aquila poteva battere moneta, Pescocostanzo, 1400 mslm, è una perla barocca. Le cose sono cambiate negli anni Cinquanta quando i tratturi hanno smesso di essere patrimonio storico statale e la competenza è passata alle Regioni, così molti sono stati inglobati nelle aree agricole o asfaltati». Nunzio Marcelli, fondatore della Rete APPIA, la rete italiana della pastorizia, pastore da 43 anni con una laurea nel 1980 sul recupero delle aree interne attraverso il sistema pastorale, è forse il primo che ha creduto nella valorizzazione dei tratturi, ma è anche la voce più disincantata e critica: «Tante iniziative e proclami, ma il ruolo del pastore rimane sempre ai margini». Eppure, sono Nunzio Marcelli e Manuela Cozzi, che, con la Porta dei Parchi, invitano a partecipare alla loro transumanza, o come dicono qui, la “mena delle pecore” (nella foto di apertura). In estate si vaga tra i paesaggi spettacolari delle Gole del Sagittario nel comune di Villalago, fino ai pascoli della foresta Chiarano Sparvera, in autunno si torna (date da controllare sul sito ché dipende dal tempo). Sempre guidati da pecore di razza di Merinizzataitaliana e 300 capre che mostrano, come sottolinea Marcelli, che la pastorizia è quella che tiene i sentieri puliti e aperti, riduce la massa vegetale e previene gli incendi, aumenta la fertilità dei terreni e ne preserva la biodiversità. E che il recupero delle vie della transumanza non è operazione nostalgica, bensì l’ultima strategia per promuovere il recupero del paesaggio.

Katy Mastorci e le sue pecore
Pastori 4.0, i custodi dell’ambiente
Persino nelle Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, nella lista del Patrimonio Mondiale Unesco come paesaggio culturale dal 2019, si sta pensando a un percorso di transumanza: «Sarebbe un modo per unire due patrimoni Unesco che condividono il legame tra la bellezza del paesaggio e le attività di viticoltori e pastori che lo hanno plasmato», dice Marina Montedoro, direttrice di Coldiretti Veneto e presidente di Associazione per il patrimonio delle Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene. «Ed è una cosa che nei fatti già avviene: penso alle pecore che vagano tra i filari della tenuta delle Sorelle Bronca, o alle pecore Alpagota, una razza ovina autoctona dell’altopiano del Cansiglio a rischio estinzione, che la pastora e biotecnologa Katy Mastorci pascola nella nostra Commitment Zone del sito Colline del Prosecco». La pensa così anche Silvia Marcazzan, allevatrice di San Giovanni Ilarione dell’agriturismo Pietra Nera, discendente da una famiglia di pastori, consigliera del Parco naturale regionale della Lessinia e promotrice de Le Vie dei Pascoli venete: «Se il territorio della Lessinia incanta è perché ci sono allevatori che lo custodiscono. Ma sostenere un mestiere così antico significa anche salvaguardare il patrimonio zootecnico, razze in via d’estinzione come la pecora Brogna, e la produzione di tipicità locali», dice. «Come Ente Parco stiamo cercando di redigere un registro delle vie armentizie per tutelare, valorizzare, ripristinare. A fine settembre inaugureremo il recupero dell’antico sentiero delle Gosse, primo passo nella definizione di una festa della transumanza che ne esalti il suo valore economico, turistico e sociale». Era l’antica via dei malghesi di Campofontana, il paese più alto della provincia, che, tra l’alta Val d’Illasi e l’altopiano della Lessinia, da Malga Lobbia a Selva di Progno scende attraverso contrada Gauli, fino a Giazza, per poi risalire al Parparo, nel comune di Roverè Veronese. Tra chi lo percorre, con partenza sempre nel giorno di San Michele (29 settembre) c’è ancora il re della transumanza della Lessinia, Modesto Gugole, ma anche giovani come Mattia Cacciatori, pastore errante. Da sei anni, insieme alla moglie Sofia, 34 e 33 anni, custodisce 250 pecore Brogna, presidio Slow Food. Faceva il fotografo di guerra in Medioriente, poi ha scelto queste valli: «Da maggio a ottobre siamo sempre in roulotte cercando pascoli nella zona di San Giorgio (in alta Val di Squaranto, tra l’altopiano della Lessinia e il massiccio montuoso del Carega, ndr). C’è chi si ferma con noi per un caffè, alcuni qualche notte, per due anni ho organizzato anche un corso di fotografia transumante. D’inverno torniamo alla nostra azienda agricola La Pecora nel Bosco nella valle di Tregnago e pascoliano in zona, viviamo vendendo agnelli pesanti di 45 chili ai ristoranti del presidio Slow Food, dalla lana ricaviamo solo 200 euro l’anno… ma mi piace questa vita».

Il pastore errante Mattia Cacciatori con le sue pecore Brogna @LorenaFila
Il richiamo della festa
D’altra parte, come sostiene Daniela Storti del CREA, il Consiglio per la ricerca in agricoltura capofila del progetto pilota della nuova Scuola Nazionale Pastorizia (promossa anche da Rete APPIA, Associazione Riabitare l’Italia, Fondazione Cariplo) che ha preso il via il 26 settembre in Valle Stura: «Chi fa questa scelta oggi vede altri valori oltre il profitto. Si tratta di aderire a un modello di vita in cui la parola benessere, animale, personale, ambientale, è centrale. Da questa prima edizione, a cui hanno fatto domanda per lo più giovani tra i 20 e 30 anni con un’importante presenza femminile, ci aspettiamo che esca la figura di un nuovo pastore che trovi giusta collocazione nelle moderne zone alpine o appenniniche». Un pastore ad alto contenuto etico e culturale, capace di mettersi in relazione con territorio e nuove tecnologie senza tradire la tradizione. «Uno dei nostri riferimenti è Andrea Colombero che ha rilevato l’azienda di famiglia Fiori dei Monti di Moiola indirizzandola verso sostenibilità e tradizione artigianale: la mungitura è ancora fatta a mano e ogni anno, da maggio a ottobre, con tutta la famiglia, dalla sua borgata migra agli alpeggi francesi del Parco nazionale del Mercantour, ma tutti gli allevatori scelti per formare i giovani pastori, praticano transumanza e pascolamento». Che poi significa decidere di non spostare più greggi e mandrie con i camion, ma riprendersi le strade, i paesi, i prati, gli argini dei fiumi. Così ha fatto anche la famiglia Pagiusco di Bressanvido, che caparbiamente è riuscita a fare di un cammino di oltre 90 km con 800 capi, una festa della transumanza verticale, la più lunga del nord Italia, capace di fare da catalizzatore per l’identità di intere comunità, e di richiamare negli anni sempre più persone che vogliono accompagnare le vacche, passare una notte all’aperto, assistere a letture e canti. E oggi, dopo due lustri, la via della transumanza di Bressanvido, che dal 23 al 25 settembre attraversa paesi come Enego, Gallio, Marostica, Schiavon, e che comprende anche una porzione della Via del Saliso, un antico percorso romano che serviva a portare ovini e bovini dalla pianura vicentina all’altopiano di Asiago, è pronta per entrare nella Rete delle vie della transumanza europee e nazionali. Perché, sia detto, la festa è solo all’inizio.
Versione integrale dell’articolo pubblicato sul mensile Dove di ottobre 2022.