Forse a Eskifjörður è venuto giù il cielo, ma alla mattina almeno, la pioggia non c’è più ed è rimasto solo il vento. Forte, come indica anche il sito della viabilità che sconsiglia vivamente, a camion e a chi ha un traino, di viaggiare in questa parte dell’isola. Noi non facciamo parte né dei primi né dei secondi e quindi ci infiliamo in aiuto e partiamo. Il cielo, intanto, comincia dare spettacolo. Il blu si riga di pennellate bianche mentre in basso, qualche nuvola sospesa abbraccia ancora le cime delle colline. L’orizzonte brilla, perché il mare si muove e sbatte contro le coste che si sono fatte di nuovo alte per proteggere le spiagge nere. Passiamo Djúpivogur, poi la baia di Lónsvík, quindi gli specchi d’acqua di fronte al Vestra-Horn, che chiamarla montagna con i suoi 500 metri scarsi fa un po’ impressione, eppure l’imponenza è quella: corni di rocce magmatiche che si innalzano e poi scivolano giù in pendii granulosi e grigi. Davanti, sono solo dune di sabbia basaltica, rive infinite rincorse dalla spuma bianca delle onde. Sarebbe stata solo la prima, di passeggiata su questo nero furioso di luce e vento accarezzato dal mare. Il giorno dopo, avrei lasciato gli iceberg flottanti della laguna di Jökulsárlón per continuare, al di là del ponte, sulla spiaggia che a ovest si spinge verso il villaggio di Fagurhólsmýri. Tra pezzi di ghiaccio arenati scavati dalle onde e dal sole, cumoli freddi gocciolanti algidi e turchesi, e i cristalli di luce spolverati in aria, ogni passo richiamava un altro, un altro un altro ancora.
Ovviamente gli islandesi sanno bene che tanta bellezza, tanto spettacolo a portata di mano, è la prova tangibile del riscaldamento globale. Vedono i ghiacciai ritirarsi di un centinaio di metri ogni anno, e sanno che al posto della lingua di ghiaccio del Breiðamerkurjökull, la parte del grande Vatnajökull che origina questa fantastica laguna, ci sarà un profondo fiordo. Alcune guide sostengono che c’è una parte di turisti che arrivano qui in Islanda proprio perché sanno che l’ultima testimonianza dell’era glaciale esistente sulla Terra prestò scomparirà. Così, vedendo le gente che faceva la fila per farsi un selfie con gli iceberg, con un sorriso amaro ho pensato che in fondo era come se fossero, ignari, al capezzale del Pianeta. D’altra parte, la processione è numerosa anche per vedere la carcassa del DC-3 della Marina Militare americana che il 24 novembre del 1973 atterrò forzatamente sulla spiaggia nera di Sólheimasandur, tra la cascata di Skogafoss e Vík í Mýrdal. Si lascia la macchina in un parcheggio sulla strada e poi, a piedi si percorrono più di tre chilometri verso il mare. Passi sorvegliati dalle calotte bianche dell’Eyjafjallajökull e del Mýrdalsjökull, in mezzo a un nulla arido e bruno, piatto e cenere. Eppure, con il dono di un cielo quasi color pervinca striato di bianco, il non senso di un’andata e ritorno da dépliant turistico, diventa un’altra marcia meditativa. Un vagare nel mondo e in un desiderio di viaggio che ti ha portato fin qui.
Non ho scritto di Höfn, una bella cittadina che si affaccia su una baia miracolosa, visto che in pochi metri hai il mare, il ghiacciaio e il vulcano. Dove si mangiano le famose aragostine (bene da Pakkhús) e dove esiste la polizia stradale più cortese del pianeta. Avendo noi infatti sostituito la targa di cartone della nostra macchina a noleggio con una di carta incollata al lunotto posteriore causa piogge, al ritorno da un escursione la abbiamo trovata lì ad aspettarci. Ci ha chiesto spiegazioni, che loro in giro con le targhe messe in quel modo non ci vanno, e noi gliele abbiamo date, compreso il fatto che avevamo avvisato la compagnia di noleggio e ci avevano assicurato che andava bene lo stesso. E d’altra parte, una targa di cartone non protetta in Islanda non può durare molto. Ci aspettavamo una multa e invece ci ha semplicemente chiesto di dire all’agenzia, quando avremmo riconsegnato l’auto, che ci avevano fermati e che non erano contenti. Affatto contenti. Cosa che, ovviamente, abbiamo riferito. Non scrivo nemmeno del Parco Nazionale Skaftafell e dell’ennesimo video anni Ottanta sui ghiacciai e iceberg (chi ha tempo si prenda un paio di giorni e faccia escursioni a Laki e sui ghiacciai veri), né del nuovissimo Lava Center di Hvolsvöllur, finalmente un museo degno di questo nome, interattivo e magico, che racconta e spiega tutti i segreti dei vulcani mettendo in diretta anche le scosse… Non è possibile racchiudere tutto in un diario che più che una guida è un tentativo di non disperdere i ricordi. Potrei concludere con una lista finale, di quello vorrei fare se tornassi in Islanda… Vicino a Hrifunes c’è un luogo dove sono state raccolte molti dei cairn (le piramidi di sassi) sparsi nella zona. Chi vuole, quasi a lasciare il segno del suo passaggio, può recarsi lì e realizzarne una sua personale mescolata insieme alle altre. Io non l’ho fatto, mi sembrava un addio, quando voleva essere un arrivederci.
(Per info turistiche consiglio it.visiticeland.com. Per leggere della mia esperienza ospitalità Airbnb clicca qui. Qui invece la Parte 1; Parte 2; Parte 3; Parte 4 del #GiroinIslanda. Se volete guardare le mie foto c’è il mio profilo Instagram @manuelamimosa o l’hashtag #tuttalasolitudinechemimerito).