Stavano facendo bollire i taralli di grano arso prima di metterli in forno, poi l’assaggio, la meditazione sulla consistenza, piacevolmente elastica, e la prova della tostatura in padella fino a creare una sorta di nuova pasta. Oggi i taralli bolliti con un ragù di interiora di pesci e cicoriella selvatica sono uno dei piatti che Andrea Ribaldone (una stella Michelin con il Due Buoi ad Alessandria) e Domenico Schingaro presentano nel ristorante Due Camini di Borgo Egnazia, a Savelletri di Fasano. Ripensare una cucina tradizionale come la pugliese non è facile. Eppure quel ragù di fegato di pescatrice e palamita, lasciato a marinare nel latte per tre ore, poi cotto al forno in cartoccio e frullato, con aggiunte di lumachine di mare, cozze, e completato da una crema di amaro di cicoria, è l’esempio perfetto di quello che Ribaldone chiama «La verità, e il senso, del luogo». Parlare di territorio, secondo lo chef piemontese, non è infatti fare il “bravo chef”, ma cercare risorse locali, acquistare in modo diverso, stringere con i produttori accordi di collaborazione.
Il che significa, nella pratica, rivalutare materie prime come la carne di razza podolica, solitamente sfruttata per il latte, della cascina Amicizia di Cassano delle Murge, fatta frollare dai 40 ai 60 giorni, e resa morbida, saporita, realmente salutare; utilizzare solo pesca locale facendo lavorare le barche anche d’inverno e “fermando” il pescato grazie a un abbattitore di temperatura ad azoto liquido che, creando cristalli piccolissimi, non rovina nelle fibre del pesce (metodo che Ribaldone ha imparato in Giappone); valorizzare piccole coltivazioni locali come la cipolla rossa di Acquaviva delle Fonti o la carota viola di Polignano, delicata nella struttura e vigorosa nel sapore. Senza contare che il trenta per cento delle verdure, tra finocchi, cime di rapa, carciofi, piselli e ceci, arriva dalle coltivazioni bio delle masserie San Domenico, Le Carrube e Cimino, sempre di proprietà della famiglia Melpignano artefice di Borgo Egnazia, e che in tutto contano 33 mila ulivi.
E senza contare il “foraging salentino” dell’executive chef Schingaro, che ogni mattina va a caccia di erbe spontanee come la cicoria selvatica, l’acetosella, la rucola di mare e la calendula. Con lo stesso spirito nascono piatti come le animelle e gnumareddi di agnello, involtini tipici della zona, con lampascioni e peperoni dolci di Senise; il colombaccio di passo fasanese, volatile qui per tradizione cacciato in primavera, proposto in un brodo di pigne bruciate, funghi chiodini e aghi di pino; e il riso patate e cozze, il piatto di casa e della festa per eccellenza, trasformato in un piatto gourmet. Riso Carnaroli cotto con acqua di pecorino, mantecato con olio, pecorino grattugiato e crema di cozze pelose. Poi polvere di pomodoro bruciato e una sottile cialda di patate per riprodurre la croccantezza della parte abbrustolita. Che poi è la parte che piace di più, in casa e al ristorante gastronomico.
Nella foto, tarallo bollito, finanziera di pesce e cicoria (courtesy chef Andrea Ribaldone).
Articolo pubblicato su Repubblica del 27 aprile 2016