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Sul cibo, le donne e le cucine

Giovedì scorso, alla vigilia dell’inaugurazione dell’Expo,  sono stata invitata a presentare il libro di Stefano Pronti di cui avevo parlato in anteprima con una lunga intervista su Sette/CorrieredellaSera. Si tratta di un libro storico, dotto, molto diverso dai libri sul cibo che siamo abituati a vedere negli scaffali delle librerie e infatti, insieme a me, al tavolo dei relatori c’erano esperti di cultura gastronomica come Davide Paolini e Giovanni Ballarini. Ora, ci sono sempre tanti modi per leggere i libri, e soprattutto, a meno che non si voglia parlare sempre al solito cenacolo chiuso, i libri vanno fatti leggere. Anche a chi come me, di storia e di ricettari antichi, sa veramente poco, ma che ama, come dico, fare connessioni. Comunque chissà perché poi si finisce sempre a parlare di Masterchef e della spettacolarizzazione del cibo, e perché io, alla fine, parlo sempre di donne. Almeno un po’. In fondo, in una tavola di sempre-uomini e sempre-un’occasione. Perché nella mia conversazione con il professor Pronti, ho spesso chiesto non solo dei cibi e dei cuochi, ma anche delle cuoche. O …

Maccaroni. Una vecchia storia.

[Intervista pubblicata su Sette/CorrieredellaSera] Un lavoro di ricerca durato più di cinque anni e iniziato quando l’Expo era solo un pensiero, attingendo dagli archivi di Stato, vescovili e privati. E perquisendo, scortato da due archiviste, tra fondi e collezioni, documenti e stampe antichi, molti dei quali precedenti il Quattrocento, per andare alle origini delle cucine locali su cui si è costruito il culto della tavola italiana. Stefano Pronti, storico e critico d’arte piacentino, ex direttore di Palazzo Farnese e del teatro di Piacenza, ammette apertamente di non amare quella creatività che nell’ultimo Novecento ha deviato la tradizione gastronomica del Bel Paese. In casa sua, la moglie, cuoca sublime, cucina ancora la Lingua di bue allo scarlatto alla maniera di Ada Boni, l’unica che ricorda quella che si mangiava negli anni Cinquanta, quando i macellai giravano la lingua nel salnitro per sei, sette giorni, fino a farla diventare, appunto, scarlatta: «Questo è un tipo di cucina che abbiamo perso in modo irrecuperabile», dice. La cucina a Piacenza, in Italia e nei secoli, il libro che raccoglie …