Sostenibilità. Ditelo con un fiore, anzi uno slow flower
Vi siete mai chiesti da dove vengono i fiori che avete sistemato nel vaso in ingresso? La strada che hanno fatto rose o peonie prima di finire nel solito chiosco all’angolo da cui vi rifornite? Perché ormai sappiamo tutto sull’origine dei grani del nostro pane, di come sono allevati polli e salmoni, e a ragione vogliamo conoscere chi cuce, e dove, i nostri abiti, ma dei fiori, di quello scampolo profumato di natura che durante il lockdown, tutti ad abbellire balconi e giardini, ha registrato una rigogliosa rinascita, sui fiori appunto, nulla. Eppure, dovremmo sapere che quei boccioli perfetti che la stessa Emily Dickinson scriveva fossero più celesti che terreni, nel 90 per cento dei casi hanno viaggiato fino a trentasei ore, sono stati conservati in celle frigorifere per giorni, e infine trattati con agenti chimici per bloccarne lo sviluppo. Senza menzionare l’acqua sottratta all’agricoltura in Paesi come il Kenya o Etiopia, già sofferenti di siccità endemica, o lo sfruttamento di donne e bambini… Ammettiamolo, raccontata così, anche il più innocuo dei mazzolini perde tutta …