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Neoumanesimo, l’Uomo nuovo è sempre lo stesso

C’è una parola nell’aria, ed è neoumanesimo. Che si parli di neuroscienze, ricerca storica, considerazioni filosofiche o approcci cognitivi, riflessioni artistiche o etiche, l’Uomo è di nuovo al centro del mondo. Ri-definirsi, nel corpo e nelle emozioni, sembra il nuovo imperativo. Provare a dare un nuovo senso, nella perdita di orientamento che sperimentiamo quotidianamente, a principi fondamentali come identità, diritto, responsabilità, umanità, valore, una necessità. «È vero, è una parola molto consumata, talvolta corrotta, ecco perché il mio sforzo che è stato quello di ridefinirla sul piano storico e cercare di rintracciarne alcuni tratti costitutivi». Parole di Michele Ciliberto, docente di Storia della filosofia moderna e contemporanea nonché presidente dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento. Suo è il recente Il nuovo Umanesimo (Laterza ed.): «Bisogna per esempio rilevare che, storicamente, ogni volta che la situazione dell’Uomo si trova in uno stato di crisi e profonda trasformazione, l’Umanesimo torna. È successo negli anni Trenta, quando le nuvole nere dei totalitarismi hanno coinciso con studi straordinariamente fecondi su Pico della Mirandola, e oggi, che il problema della …

Elogio dell’errore

L’immane RagnoFerro di Curnasco si gratta con un albero che di solito abbatte con un calcio. Ha un passo di duecento metri ed è capace, se ha sete, di prosciugare il lago di Como in pochi sorsi. Quando fa la pipì può allagare un’intera città e quando ha fame può inghiottire anche un autotreno. L’immane RagnoFerro di Curnasco lo ha inventato, disegnato e raccontato, un bambino di dieci anni che lo ha immaginato con tante zampe, più di quelle che ce ne sono in realtà. È un ragno sbagliato, un errore della natura, come per errore è cominciata l’avventura di Luca Santiago Mora e del suo Atelier dell’Errore: «Un’amica mi ha chiesto di sostituirla per un anno nel laboratorio di arti visive del reparto di neuropsichiatria infantile di Reggio Emilia e Bergamo. Sono passati quattordici anni e questa esperienza è diventata un vero laboratorio di scultura sociale dove l’opera d’arte non è che il lavoro fatto sull’energia dell’essere umano. Su quello che comunemente chiamiamo “errore”, è stato costruito un metodo, una strada per trasformare in …

Il richiamo della natura selvaggia

La prima volta che si è tolto lo scarpe lo ha fatto per fare compagnia alla sua bimba di tre anni. «Sono bastati dieci minuti per capire che il contatto del piede con l’erba umida e i sassi, la sensazione del caldo e del freddo, l’umidità della terra e la ruvidezza aspra delle pietre, era qualcosa di più di un gesto meccanico». Da quella passeggiata a Egna, sono passati cinque anni, e oggi Andrea Bianchi (qui l’intervista), scrittore di montagna e ingegnere, – suo il libro Il silenzio dei passi (Ediciclo ed.) -, oggi riesce a camminare scalzo anche per ore, affrontando escursioni impegnative in quota che di solito si fanno con scarpette iper tecniche. «Non c’è nessuna sfida del limite» dice. «La mia è stata, ed è, una ricerca: quando l’estremità del corpo si lega senza intermediazioni alla natura, si apre una sfera di percezioni sottili, quasi uno stato di meditazione, di consapevolezza interiore, che ti fa sentire una cosa sola con l’ambiente nel quale stai camminando. Senza filtri, si percepisce la terra con …

Andrea Bianchi: il silenzio dei passi

Ho intervistato Andrea Bianchi per un articolo pubblicato su Dove (Wilderness). Aveva appena pubblicato Il silenzio dei passi e stare a piedi nudi nella sabbia, nel bosco o nella neve, mi sembrava un bel modo per raccontare la wilderness. Ecco qui l’intervista integrale. Quando hai cominciato e perché a camminare a piedi nudi? È cominciato tutto per caso durante una camminata in montagna con la mia bambina. Lei si è tolta le scarpe, e io, che già indossavo delle scarpette minimali, ho provato a fare qualche metro scalzo. Sono bastati dieci minuti per farmi capire che in quell’esperienza c’era di più dell’aspetto meccanico. Ho poi continuato a camminare scalzo a casa e in giardino, e i “passi nudi” sono diventati per me una sorta di ricerca personale e interiore. Un modo per stare in contatto con me stesso attraverso il contatto con la natura. Ti sei anche documentato su quello che scoprivi? Certo. Nel mondo anglosassone di barefoot hiking si parla molto e se ne scrive, altra tradizione è quella tedesca che prevede percorsi ad hoc… Io preferisco compiere a piedi nudi dei sentieri naturali, anche quelli che all’inizio sembrano impensabili, …

Empatia: due chiacchiere con Laura Boella

Laura Boella è docente di filosofia morale ed etica dell’ambiente alla Università Statale di Milano. Tra i suoi campi di ricerca ci sono l’empatia; Hannah Arendt, nuovo umanesimo, e la capacità di giudicare; Vladimir Jankélévitch e la vita morale; il perdono. Ho avuto il piacere di chiacchierare con lei in occasione del mio pezzo di cultura per il mese di dicembre 2016 di Dove. Qui trovate l’intervista integrale. Ormai si parla di empatia come competenza utile dalla scuola all’economia, ma cosa è innanzi tutto l’empatia? Di solito preferisco non scendere sul piano della definizione. L’empatia ci permette di riconoscere il valore della presenza degli altri esseri umani che esistono nel mondo con noi. È un riconoscimento dell’altro che però non va inteso come il mio doppio. Con l’empatia si mette in primo piano la relazione tra esseri umani. Se si considera questo, si capisce che l’empatia è la presa d’atto di un fatto fondamentale della condizione umana: noi non esistiamo in quanto soli ma sempre in relazione con altri. E questa è una capacità innata nell’essere umano? Le scienze, soprattutto in seguito alla scoperta dei …

Qualcosa in comune…

Sarà la comune del XXI secolo. Il Patrick Henry Village alla periferia di Heidelberg, fiorente cittadina industriale del Baden-Württemberg nota per accogliere, oltre alla più antica università tedesca, tra i più prestigiosi istituti di ricerca al mondo come il Max Planck e l’European Molecular Biology Laboratory, diventerà un inno architettonico alla cultura della condivisione, alla sharing culture insomma, con tutto il portato economico e sociale che si tira dietro. «Le comuni sono sempre state il luogo ideale per sperimentare pratiche e comportamenti lungimiranti, ma oggi l’idea della comune ha preso significati nuovi grazie alle dinamiche della Rete. Non sono soltanto gli spazi a essere condivisi, ma soprattutto i servizi, le idee. Perché la comune contemporanea non è più una comunità chiusa su se stessa, bensì un luogo inclusivo che sa dialogare con il resto della città e della società. Un luogo in cui le relazioni si formano in modo dinamico, sia nello spazio fisico che in quello digitale». Parole di Carlo Ratti, docente presso il Massachusetts Institute of Technology di Boston e socio fondatore del …

I nuovi tempi del far vacanze

Chi ci avrebbe mai creduto. Passare il pomeriggio in albergo, senza per altro destare i soliti sospetti, dopo la riunione del mattino in ufficio e prima della conference call serale con i colleghi d’oltreoceano. Tra piscina, Spa e una degustazione guidata, con lo stato d’animo di un vero villeggiante, anche “solo” per il pomeriggio. Secondo la start up che permette di prenotare, con uno sconto fino al 70 per cento, camere in due mila hotel di lusso in tutto il mondo dalle ore 9 alle 23, i daybreaker crescono del trenta per cento ogni mese. Uomini e donne che, in trasferta o nella loro stessa città, decidono di rompere la routine settimanale e implementare il tempo libero con gli agi, e i vizi, che di solito ci si concede in vacanza. Del resto, lo stesso fondatore di DayBreakerHotels Simon Botto, da ex avvocato d’affari e pallanuotista, ha provato in prima persona che non sempre i ritmi lavorativi consentono di progettare i tempi classici del “far vacanza”, mentre le pause, ancorché lunghe e disordinate, rischiano di …

Appetiti coraggiosi

A pensarci bene, a mangiare, ci vuole coraggio. L’appetito è un desiderio pericoloso, si nutre di bisogno e capriccio, curiosità e audacia. All’alba della nostra Storia ingerire qualcosa di diverso poteva significare anche rischiare la vita. Oggi, in estremo limite, ce la caviamo con un antiacido o un conto salato. In ogni caso, l’effetto Bourdain, dal nome dello chef americano che ha fatto del viaggio-scoperta-gastronomica uno stile di cucina (e un format televisivo), è più vivo che mai. Secondo il Food Travel Monitor 2016 elaborato dalla World Food Travel Association, la percentuale dei viaggiatori che sceglie la destinazione in base alla proposta culinaria è salita al 49 per cento. E dovunque si trovi, il 93 per cento di essi visiterà comunque agriturismi e cantine, aziende agricole o mercati tipici. «Quello che prima era una nicchia, oggi è diventato fenomeno di massa, la motivazione principale che muove al viaggio» dice Roberta Garibaldi, direttrice del Centro Studi per il Turismo dell’Università di Bergamo e referente per l’Italia della WFTA. «E la cosa non riguarda solo i baby …

Visioni dal futuro

Viviamo in un periodo fortunato. Uno di quelli per cui, tra qualche decina di anni, qualcuno potrebbe persino dire: “Vorrei avere vissuto quei momenti”. Momenti in cui si annunciava la scoperta del bosone di Higgs, la “particella di Dio”, in cui si catturavano le onde gravitazionali, e tutto questo regalava un nuova visione dell’universo. «Viviamo,» come dice il fisico Guido Tonelli, professore presso l’Università di Pisa e uno dei responsabili, insieme a Fabiola Gianotti, dell’esperimento del Cern, «in un universo fortunato. Un universo sostenuto da un’impalcatura fragilissima, una sorta di ragnatela, da cui tutto ha avuto inizio grazie a una rottura di simmetria, un’imperfezione. Una simmetria perfetta di questa “impalcatura” infatti, avrebbe significato mancanza di vita e noi, come altri universi possibili, semplicemente non saremmo qui e ora. Dovremmo riflettere su questo perché, in un certo senso, la nostra esistenza, la nostra visione del mondo, dipende da un’iniziale, e permanente, precarietà. Permanente poiché sappiamo che questa stessa impalcatura non è eterna, né stabile, e, anche se ancora alcuni miliardi di anni dovrebbe reggere, da qualche …

Una certa idea di Giappone

Se proprio dobbiamo ricercare una data per dare un inizio certo all’infatuazione verso il sognato Giappone, quella è il 1854, anno in cui l’ammiraglio americano Matthew Perry entrò con le sue navi nella baia di Edo e mise la parola fine a quel sakoku (“paese blindato”) decretato dallo shōgun Iemitsu nel 1641. Prima di allora, a parte i commercianti olandesi che transitavano nel porto di Nagasaki e qualche missionario, ogni forma di contatto tra la popolazione giapponese e gli stranieri, in patria e altrove, era di fatto proibita. Un isolamento che aveva accresciuto il desiderio e l’immaginazione e che portò a un diffuso entusiamo dello stile e del gusto europei battezzato, nel 1872, dal critico francese Philippe Burty con il termine di japonisme. Nessuno ne fu indenne, visto che le stampe ukiyo-e, le così dette “immagini del mondo fluttuante” del periodo Tokugawa (1615-1868) arrivate in Francia come carta per gli imballaggi per l’Esposizione Universale del 1867, furono di ispirazione a un’intera generazione di pittori, da Claude Monet (che ritrasse la moglie Camille con kimono e …