Il 13 dicembre è il Raclette Day che è un po’ come se noi avessimo il giorno del Parmigiano… e invece no, non ce l’abbiamo. Questo comunque è un raclette tour nel Vallese. Godetevelo.
La parte più buona, sia detto, è quella della crosta. Certo, per raschiarla bene, adeguatamente morbida, e metterla nel piatto insieme al formaggio sciolto accompagnato da cipolle e cetrioli sottaceto (meglio se casalinghi), e una patata al vapore ancora bollente, ci vuole una certa maestria. Perché fare il racleur, ovvero il raschiatore di raclette, il formaggio svizzero del Canton Vallese rigorosamente prodotto con latte crudo diventato AOP (la nostra DOP) nel 2007, è una vera e propria arte. Almeno così sostengono i vallesani fedeli alla storia per cui fu un semplice viticoltore che alcuni secoli fa, per scaldarsi dalle temperature a picco, avvicinò un pezzo di formaggio al fuoco. Il resto è storia, documentata fin dal 1874, e praticamente mai cambiata. Una forma rotonda e bassa di circa 5 kg con un diametro di 30 cm. Circa 50 litri di latte per produrla, e una stagionatura che varia da tre a sei mesi. Oggi, terrorizzati dall’ipercolesterolemia dilagante, ci tengono a dire che si tratta di un formaggio senza lattosio, senza glutine, con un alto contenuto di proteine, magnesio, calcio, vitamina A, vitamina B, Omega-3. Quel che più conta però è che raclette è sinonimo di convivialità. Ché non si tratta solo di degustare un prodotto locale, ma di condividere un pasto, un momento di allegria, e di riprendersi i tempi lenti di un pranzo fra amici o in famiglia. Lo insegna anche Eddy Baillifard, nato e cresciuto a Bagnes, la capitale della raclette, ex allevatore di mucche di razza Hérens, capace di riconoscere l’origine di un formaggio e l’alpeggio “semplicemente” a naso, e che nel 2012 ha dovuto abbandonare i suoi pascoli per dedicarsi alla ristorazione. Da allora, dalla sua Raclett’House di Bruson, è diventato l’ambasciatore del formaggio vallesano nel mondo, il punto di riferimento per tutti i racleur, tanto che organizza workshop (Canton Vallese e Hedonistica organizzano Atelier du Terroir) per condividere i segreti della sua raschiatura (pare che il robot inventato sia stato fatto imitando i suoi gesti). Baillifard è colui predica, con successo, la conservazione della versione autentica, allontanando ogni fuga creativa, (qualcuno aveva provato con il solito ananas ma è stato bandito), concedendo, e con moderazione, solo un po’ di pepe nero macinato fresco.
Laiterie d’Orsières, un museo per la raclette
Per un culto di questa dimensione ci voleva una sorta di museo. Così, quando il caseificio al centro del paesino di Orsières è diventato troppo piccolo, gli allevatori della regione del Gran San Bernardo hanno deciso di realizzare sulla strada che porta al passo una nuova latteria, che, oltre a essere luogo di produzione, è diventata il riferimento per chi vuole sapere tutto sulla raclette. I conferitori di latte alla Laiterie d’Orsières sono una ventina, tutti con alpeggi tra gli 800 e i 2200 metri slm, e portano circa un milione e 500 mila litri di latte per una produzione di 140 tonnellate di raclette l’anno, che è poi l’80 per cento della produzione di tutto il caseificio, visto che il resto lo fanno formaggi come il Rebib, più stagionato, e le 2800 forme di burro lavorate a mano, una a una. Prenotando, si può assistere al lavoro dei casari, visitare le sale della stagionatura dove un robot si occupa di spazzolare e rigirare tutte le forme, e naturalmente fare degustazioni accompagnate da vini o erbe, shopping gastronomico. Naturalmente, alla Laiterie d’Orsières, la raclette non si ferma mai e si può degustare a ogni ora del giorno, ma, va detto, per scaldarla si usano i fornetti elettrici.
Nel bosco o davanti al camino, ma sempre sul fuoco a legna
La vera raclette invece è quella, come si dice da queste parti, “au feu de bois”. Mezze forme scaldate dal calore del fuoco a legna, e che si arricchiscono di tutto l’aroma e la poesia di una tradizione antica. A insegnare a raschiare Aurel Salamin, titolare dell’Hotel de Moiry di Grimentz, per esempio, è stato il nonno. Appassionato di fotografia naturalistica (i suoi scatti degli animali della Val d’Anniviers sono sparsi per tutto il locale), ogni sera si mette davanti al grande camino centrale del ristorante e comincia a fare la raclette mentre gli ospiti si godono lo spettacolo. A Champéry, distretto di Monthey, c’è invece la Cantine des Rives, a 1220 m. slm e con una magnifica vista sulla valle; mentre a Verbier, La Marmotte, uno dei ristoranti Saveur du Valais, serve raclette a quasi a tutte le ore, tra pietre, legno, grandi camini, e con panorama sul Grand Combin. Perché montagna e raclette sono un binomio perfetto. Armati di ciaspole, scarpe da trekking e persino sci, la raclette si può degustare in mezzo a un bosco di larici o sulla neve in alta quota come propone la guida alpina Anita Stadelmann con Raquette et Raclettes, ciaspolata in notturna con degustazione di raclette a feu de bois. È la versione wild del pranzo a base di questo formaggio fondente, magari in notturna, con tanto di luci frontali, e una guida alpina che accende il fuoco alla maniera dei boy-scout e scalda la forma sulla fiamma ardente prima di servire la fetta colante su una fetta di pane. Se si vuol fare tutto da soli, c’è il kit fornito da alcuni ristoranti della regione du Dents du Midi. Piccoli fornetti portatili su cui scaldare la fetta di formaggio, da mettere nello zaino, e tirar fuori quando si è trovato il panorama che più ci piace. In libertà.
Foto di apertura ©Valais-Wallis-Promotion-Sedrik-Nemeth