Si vede che delle diete, lampo, su misura, a giorni alterni o stagionali, ne abbiamo fatto una vera indigestione, se la critica ai “guru del nutrizionismo salutare”, quelli che promettono una sicura e gratificante perdita di peso, arriva da ogni parte. Dopo il manifesto gastro femminista della scrittrice americana Caroline Dooner, che dopo essersi guardata allo specchio e chiesta se avrebbe passato tutta la vita perennemente a dieta, ha deciso di mettere a punto un metodo anti dieta (The F*ck It Diet. Anche basta con la dieta. Mangiare è semplice, Sonzogno); ecco che il coach e terapista Philippe Tahon apre il suo libro Metti a dieta la tua mente (Gribaudo), con una lettera ironica indirizzata a quei dietisti che farebbero la sua fortuna. Tahon è infatti uno dei sostenitori della mindful eating, ovvero di un’alimentazione consapevole che dovrebbe restituire piacevolezza all’atto del mangiare.
È facile essere d’accordo con chi sostiene che dal cibo noi siamo ossessionati: seguiamo con ansia l’ultima ricerca sui superfood, scegliamo gli alimenti basandoci sul loro potere nutritivo, pesiamo dai sali minerali alla quantità di grassi… Il tutto però, senza un minimo di consapevolezza. La prima cosa di cui ci dimentichiamo infatti, è che noi non siamo solo biochimica, ma anche emozioni, e il cibo è soprattutto emozione. Non a caso Tahon, nel guidarci verso questa nuova coscienza alimentare, consiglia di compilare un diario in cui annotare tutte le emozioni legate al cibo. Poi certo, ci sono delle regole da osservare: riflettere sulla velocità con la quale mangiamo, sulla fame che ci guida a tavola, su quando e come avvertiamo il senso di sazietà. E qualche indicazione: mangiare sempre seduti e mai in piedi, respirare profondamente prima di mangiare e tra un boccone e l’altro, guardare il piatto con ammirazione, fare bocconi piccoli e mai affrettati, apprezzare la convivialità. Come nella mindfulness tradizionale, la mindful eating aiuta a concentrarsi sul momento presente, nel caso specifico quello in cui siamo a tavola, liberandoci da ansia e stress. Ciò consentirebbe di non vivere il nostro rapporto con il cibo come un’ulteriore performance, e a non essere troppo severi con noi stessi se a volte indugiamo tra confort food o junk food.
Con il tempo, dice Tahon, impareremo a sincronizzarci con il nostro corpo, capirne i segnali, e mangiare in modo sano spontaneamente, senza particolari restrizioni o imposizioni. L’importante è assumersi la responsabilità del cibo che acquistiamo o mettiamo nel piatto, senza trovare troppe scuse – come il tempo che manca – per affrontare quello che spesso si presenta come un cambiamento fondamentale nelle nostre abitudini di vita. La domanda finale, al solito, è: ma funziona davvero? O è l’ennesima dieta travestita da non-dieta? Sia Dooner che Tahon si prodigano nel fornire testimonianze illuminanti e dispensatrici di speranza. C’è chi si è ritrovata circondata da dolci e si è accorta di desiderare mandarini. Chi, potendo mangiare qualunque cosa quando voleva, ha scoperto di voler mangiare in realtà solo cibi di qualità. Chi si lamentava di essere ingrassato 27 chili pensando di mangiare sano e aver preso coscienza di quello che in realtà ingurgitava essersi distrattamente solo dopo averne preso nota. E chi infine gioisce di essere dimagrito in vacanza, semplicemente dormendo di più e rilassandosi. Certo è che con il cibo bisogna recuperare un rapporto più distaccato e persino ironico, come ci aveva insegnato il sempre attuale Il dilemma dell’onnivoro di Michael Pollan (Adelphi). Noi che possiamo mangiare di tutto, e che tutto vorremmo sapere, forse un po’ di ansia ce la meritiamo.
(già pubblicato su Repubblica marzo 2019)