[Articolo pubblicato su Sette/CorrieredellaSera del 23 maggio 2014] Si intitolava Constitutio sive encyclica super massariis Curiae procurande et provide regendis e fu lo strumento con cui Federico II di Svevia organizzò tutte le masserie pugliesi. Se si vuole trovare un anno zero per l’impronta paesaggistica di questo stralcio di Bel Paese, lo si può forse rintracciare in questa sorta di decreto che era poi il sogno del Puer Apuliae di fare di queste case agricole dei luoghi di sperimentazione per un miglior sfruttamento del territorio. Campagne, pascoli, zone boschive. Il disegno di quelle armonie verdi che oggi si vede attraversando in macchina il tacco d’Italia è cominciato allora. E per goderne con gli occhi, ancora oggi, si può salire sopra la più alta delle colline delle Murge fino a Castel del Monte, il segno visibile del potere di Federico: il golfo di Manfredonia, la terra di Bari, i sassi delle Murge, l’orizzonte sempre più chiaro del basso Adriatico, sono davanti a noi. Così come i trulli, i santuari, i castelli, i campi coltivati, tutto. La Puglia, in un certo senso, comincia qui. O almeno qui fa le sue presentazioni. Mostrando subito quel carattere levantino capace di accogliere mondi e persone differenti guardandoli sempre, è vero, un po’ dall’alto.
Per i brindisini, gli abitanti del Salento erano pòppiti, un po’ cafoni insomma, perché vivevano in quelle campagne lasciate a se stesse e il più delle volte come braccianti, non come padroni. Ma i salentini, dicono, di questo vanno orgogliosi, e dell’efficienza e del rigore di chi sta al nord, sorridono con malcelata indolenza. Loro, alle geometrie severe delle fortificazioni federiciane, alla presenza imponente dei castelli svevi come quello di Trani o Barletta (i cui bastioni pentagonali furono però aggiunti da Carlo V), oppongono la gentilezza delle decorazioni delle chiese in pietra leccese, il calore della luce delle superfici ornate da frutti, putti e animali mitologici. È la gioia leggera del barocco. Persino la chiesa romanica, e normanna, dei s.s. Niccolò e Cataldo di Lecce viene invasa dal barocco di Giuseppe Cino, lo stesso maestro che lavorò alla Chiesa del Carmine e a quel trionfo di piccole maschere e ghirlande di fiori scolpiti che è il pozzo del palazzo del Seminario. Ma il sentimento barocco pervade tutto il tacco: la Chiesa dei ss. Pietro e Paolo a Galatina, quella di san Domenico a Nardò con gli intagli in carparo scuro, poi Gallipoli, Melpignano…Forse l’arte e l’architettura da sole non riescono a definire quel dilemma antropologico che coinvolge da sempre chi sta sopra o sotto la città Lecce, e per la risoluzione del quale si sono scomodati pugliesi eccellenti come Vittorio Bodini o Mario Marti. Certo è che laddove non arrivarono efficienza e rigore, si fecero spazio le molli influenze spagnole e orientali.
Carmelo Bene diceva che Otranto era un magnifico religiosissimo bordello, “casa di cultura tollerante confluenze islamiche, ebraiche, arabe, turche, cattoliche”. E così, oggi, è il Salento la terra effeminata votata al divertimento, quella delle spiagge con i nomi maldiviani, quella dove ci si prende poco sul serio e si traccheggia. Ma qui, siamo, è bene ricordarlo, nelle stesse terre in cui i monaci basiliani riuscirono a diffondere il rito religioso greco che sopravvive nella lingua grika parlata nei paesini di Corigliano d’Otranto, Martano, Martignano, Melpignano, Sternatia o Zollino. E qui siamo, soprattutto, in de Finibus Terrae, dove la terra finisce. Santa Maria di Leuca e Capo d’Otranto sono i punti più estremi della Penisola. Giunti all’epilogo, la Puglia si rivela per quello che è: un lembo di Creato stretto tra due mari e schiacciato da quel sentimento di spensierata rassegnazione, che spesso coglie chi ha sempre vissuto di fronte a un mare sconfinato e per questo foriero di universali incertezze, ma che, a ben guardare, è anche il primo presupposto per vivere bene. Gli inglesi, che tra borghi gioiello come Specchia, Muro Leccese, Tiggiano e Galatina, si sono piazzati comprando case e riempiendo le terrazze di poderose bougainville, lo chiamo lo state of mind del Salento. Per questa raffinata rilassatezza, molti di loro hanno preferito il tacco alla Toscana, ma chi ha passato almeno qualche giorno da queste parti sa che la luce abbacinate riflessa dal biancore delle pietre, il vento che a volte confonde e il tricolore composto dal blu del mare, dall’oro dei campi e dal verde argenteo degli ulivi, sono più forti di qualsiasi sentimento o disposizione mentale. È, semplicemente, la natura dei luoghi. E alla fine, l’unica cosa che resta da fare è scegliere se osservare il tramonto cadere sulla campagna o sul mare. L’unica.
L’ospitalità in Puglia è sinonimo di masseria e il continuo recupero di queste case fattorie fortificate è uno dei motivi della bellezza del suo paesaggio. Nel brindisino, Masseria Montenapoleone, a due passi da Ostuni e Cisternino, tra oleandri, boungainville e ulivi, offre poche camere e prodotti bio. A Savelletri di Fasano, Torre Maizza organizza attività sportive e gastronomiche. Nel centro di Maglie, posizione strategica per raggiungere sia la costa ionica che quella adriatica, Corte dei Granai è un raffinato B&B. Vicino al mare, a Torre Suda, Masseria Pugliese, è stata restaurata un anno fa. Valida alternativa, l’affitto. Belle Case di Puglia ha una buona selezione di case di charme, mentre Casa Tumbinno propone a Otranto, Ostuni e Alberobello, dimore della tradizione con un tocco di design. Poi il cibo. Se i ristoranti di Peppe Zullo sono ormai sinonimo di cucina, ottima, del territorio, e A casa tu Martinu a Taviano un’istituzione per tutti i piatti tipici, da provare anche la cucina neo salentina de L’Altro Baffo a Otranto, proprio davanti al Castello Aragonese, e gli immancabili frutti di mare del ristorante Lo Scalo a Marina di Novaglie.