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Le custodi delle erbe

Dici erbe e pensi a Ildegarda di Bingen. Mistica, badessa benedettina e prima erborista, le catalogò con annessi rimedi nel famoso Herbora Sempliciorum. Chiusa in un convento dall’età di otto anni, imparò così tanto su quel mondo vegetale che Papa Benedetto XVI si convinse a dichiararla Dottore della Chiesa, ma solo nel 2012. La sua era la medicina naturale dell’anno Mille, ma soprattutto era la ricerca di una corrispondenza armonica tra Madre Natura ed essere umano. Il giardino dei semplici, così come erano chiamate le varietà di erbe officinali, è sempre stato, d’altra parte, un orto di piante e, insieme, il simbolo del Paradiso. E c’è qualcosa di arcano nelle proprietà delle erbe. Usciti dalle mura del convento, le donne che le raccoglievano erano chiamate “guaritrici”. Una sapienza antica che continua ad appassionare i contemporanei se ogni anno in Italia si producono quattro mila tonnellate di piante officinali in oltre 7.300 mila ettari (dati FIPPO), mentre sono, secondo Coldiretti, quasi otto milioni coloro che le usano per il benessere fisico e mentale. «Il medioevo ci racconta di una grande conoscenza del mondo vegetale, e della sua necessità» dice Marilena Panarelli, collaboratrice con le università di Lecce e Colonia, con in cantiere un dottorato sulle tradizioni botaniche medievali. Nel frattempo, insieme a Francesca Ceci ed Elena Di Fonso, ha fondato Potentilla (dal nome della potentilla reptans), un’azienda che trasforma le erbe spontanee delle Murge in prodotti per la cura della pelle. «Ci unisce la passione per questa cultura millenaria spesso tramandata oralmente. Raccogliendo e utilizzando erbe, facciamo in modo che questa eredità non vada persa. La tutela della biodiversità non riguarda infatti solo l’ambiente, ma è una vera operazione culturale».

Semplici per natura

È questo allora che si nasconde dietro galium, lentisco, elicriso, rosa canina, ruta, avena selvatica… Questo raccolgono le tre donne nella campagna intorno a Castel del Monte. «Le piante dell’Alta Murgia crescono in terreni aridi, resistendo a vento e sole forti, ricche di principi attivi», continua Francesca. «La mia fortuna è essere cresciuta in una masseria e vivere ancora in mezzo a un bosco di querce, una delle poche zone di questo angolo di Puglia che si è salvata dalla diffusione massiccia di uliveti e vigneti». La salvezza delle erbe officinali coltivate in Alto Adige invece, si deve alla lontananza dai meleti. «Sarebbe un problema per i trattamenti, e per le mie 300 diverse varietà che coltivo senza alcun additivo», dice Christine Lageder. Nei tre mila mq di orti, sempre soleggiati ai 900 metri di altitudine del suo maso a Barbiano, segue rigorosamente il calendario delle semine di Maria Thun, coltivatrice biodinamica tedesca. «Semino solo con luna crescente e per l’essicazione mi assicuro di essere sotto l’influenza della costellazione del Leone, così le erbe hanno un gusto più forte e aromatico», dice. Menta di diverse varietà, tra cui la “citrata” al gusto di arancia, la sua preferita, ma anche erbe particolari come il finocchio di Barbiano, ideale per le tisane, e rare come la melissa bianca. «Una volta l’avevano tutti, poi è stata soppiantata dalla citronella, io ho ricominciato a coltivarla perché ha uno straordinario potere calmante». E poi pimpinella selvatica per i sali, trigonella per il pane, radici di inula viscosa per gli incensi, iperico e ginepro per le tisane. «Da maggio fino a metà ottobre organizzo anche visite guidate nel giardino. È una passione che sta crescendo, sono sempre di più quelli che vogliono conoscere le proprietà di erbe anche comuni come rosmarino o timo».

Gli erbari della vita

Poco distante, a Bressanone, arrampicato sulle pendici della Plose, c’è il maso  il campo di Rita Frener: è lei la pioniera della coltivazione bio in valle (nella foto sopra), ma anche la testimonianza vivente di una tradizione che si tramanda soprattutto per via femminile. «Fu mio bisnonno a comprare questo antico maso del Trecento nel 1936, ma fu mia nonna a portarlo avanti da sola. Così ho fatto io, visto che mio marito lavorava altrove, mentre è stata mia figlia Maddalena, all’età di nove anni, a convincermi a coltivare erbe, fino a che mi sono iscritta alla Scuola e Centro di Sperimentazione Laimburg come coltivatrice di erbe aromatiche, e da quindici piccoli sacchetti da tè portati alla festa del raccolto dell’Abbazia di Novacella, è diventata una vera produzione, sempre rigorosamente manuale. E oggi mia nuora, insieme a mio figlio, si è inventata una nostra linea, Herba Plose». Tutte insieme, insomma, in questo guardino profumato a 1400 metri, tra alchimilla, achillea, piantaggine, malva, la calendula, fiordaliso, sambuco, melissa, a seminare, mondare, defoliare, selezionare, raccogliere, essiccare… quasi a intrecciare erbari genealogici. Anche ad accompagnare Giovanna Barbato nel suo campo di erbe a Champoluc c’è la nipote. «Faccio con lei quello che faceva mia nonna, un’anziana guaritrice a cui tutti si rivolgevano per curare un raffreddore o una frattura, e da cui ho preso il nome», dice. Era con lei che Giovanna andava per i prati a raccogliere le erbe e mentre imparava a riconoscerle, ascoltava vecchie storie. Quelle che in parte sono finite, mescolate ai ricordi di una vita, nelle sue Tisane d’Autore. «Gli infusi sono un concentrato dell’energia che regala la natura. Volevo però creare qualcosa di diverso, così ho pensato di legarle a una sorta di favola scritta su una carta pergamena allegata a una confezione illustrata da giovani artisti». Ed è stato un successo.

Affari aromatici

Non è di solo romanticismo di fatto che si vive. Coltivare erbe officinali e aromatiche è un’ottima idea imprenditoriale. Il valore del comparto è ormai intorno a 235 milioni euro (fonte FIPPO) tanto che a maggio, al Macfrut 2022 di Rimini, per la prima volta in Europa, ci sarà un padiglione dedicato che renderà pubblici i primi dati di un osservatorio economico istituito nel 2021. «Una volta la raccolta di erbe era fonte di sussistenza, basta pensare ai sacchi di colchico per le ditte farmaceutiche. Negli ultimi anni, si è solo ripreso un lavoro antico, aggiornandolo, certo», dice Cinzia Corradini (a destra). Ex artigiana, è uscita dal laboratorio per fondare, in mezzo a un lariceto di Carano, frazione di Ville di Fiemme, Mas Vinal, una produzione di infusi, oli, essenze, liquori e balsami a base di erbe la cui richiesta nell’ultimo anno è aumentata un 30 per cento. «Ormai ne coltivo 60 varietà, mentre altre 50 sono selvatiche. Per fare un etto di erbe da infuso, serve un kg di fresco. Non è molto proficuo, ma è una passione: ho elaborato formulazioni anche con ventitré essenze diverse. Altre le ho scoperte parlando con vecchie raccoglitrici come Teresia, che mi ha affidato le sue ricette per affrontare i malanni dell’inverno», dice. E se Teresia è la tradizione, l’innovazione è quella che Corradini fa insieme allo chef Alessandro Gilmozzi del ristorante El Molin di Cavalese, per cui raccoglie anche la linfa delle betulla, o con il caseificio di Predazzo, che utilizza le sue erbe per un liquore di latte. È un modo per rendere attuale un’antica consuetudine alimentare, che sulla tavola metteva anche i fiori.

Profumi e colori

«Abbiamo semplicemente smesso di essere consapevoli che noi, erbe e fiori, li mangiamo quotidianamente: il carciofo stesso, è un fiore». Parole di Annalisa Massaria (a sinistra), che, nella sua Fattoria delle Erbe nella campagna di Treviso, ha pensato di affiancare alla coltivazione delle officinali i fiori eduli. «Il nasturzio ha un sapore pepato simile alla senape e in più è ricco di vitamina C, i crisantemi coronari sono piccanti e gustosissimi, il sambuco e l’hemerocallis, pianta erbacea che assomiglia al giglio, dolci come una caramella», continua Massaria. Corteggiatissima dagli chef della zona, dice che ora la richiesta sta aumentando anche tra i privati. «Sono arrivata ad avere 15 mila piante messe a dimora con 150 specie diverse tra erbe officinali, aromatiche e fiori eduli. Ho iniziato facendo infusi e ora produciamo prodotti di cosmetica naturale, paste, amari digestivi, zucchero aromatico… E ogni anno, un nuovo esperimento: ora sto provano la salicornia, un’erba leggermente salata tipica delle zone marine, ma chissà che non venga fuori qualcosa di interessante», conclude. Del resto, come insegnano le vecchie raccoglitrici, tutto quello che dobbiamo sapere, ce lo insegna la natura. Basta osservare quello che succede intorno a noi. Quello che fiorisce di più, quello che conquista campi e boschi prima aridi, quello che esplode in colori e profumi più potenti. È di quello, si dice, che nel futuro avremo più bisogno.

Articolo già pubblicato su ioDonna/CorrieredellaSera 2 aprile 2022

 

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Manuela Mimosa Ravasio è una giornalista professionista con una formazione da architetto. Ha lavorato per anni come caporedattore scrivendo di società e attualità in riviste del gruppo RCS e tutt'ora firma per i maggiori quotidiani e settimanali nazionali. Oggi svolge la sua attività da libera professionista offrendo anche consulenze in comunicazione, progettazione di contenuti e strategie narrative, e formazione per la promozione di territori.

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