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Empatia: due chiacchiere con Laura Boella

Laura Boella è docente di filosofia morale ed etica dell’ambiente alla Università Statale di Milano. Tra i suoi campi di ricerca ci sono l’empatia; Hannah Arendt, nuovo umanesimo, e la capacità di giudicare; Vladimir Jankélévitch e la vita morale; il perdono. Ho avuto il piacere di chiacchierare con lei in occasione del mio pezzo di cultura per il mese di dicembre 2016 di Dove. Qui trovate l’intervista integrale.

Ormai si parla di empatia come competenza utile dalla scuola all’economia, ma cosa è innanzi tutto l’empatia?

Di solito preferisco non scendere sul piano della definizione. L’empatia ci permette di riconoscere il valore della presenza degli altri esseri umani che esistono nel mondo con noi. È un riconoscimento dell’altro che però non va inteso come il mio doppio. Con l’empatia si mette in primo piano la relazione tra esseri umani. Se si considera questo, si capisce che l’empatia è la presa d’atto di un fatto fondamentale della condizione umana: noi non esistiamo in quanto soli ma sempre in relazione con altri.

E questa è una capacità innata nell’essere umano?

Le scienze, soprattutto in seguito alla scoperta dei neuroni specchio e alla crescita esponenziale di esperimenti nell’ambito delle neuroscienze e della psicologia, hanno mostrato che questa abilità è nel nostro cervello. Come per altre abilità però, spesso non ce ne accorgiamo ed è per questo che l’empatia va esercitata e attivata. Bisogna passare dalla capacità naturale e biologica alle pratiche quotidiane dell’empatia.

Perché oggi sembra ci sia così bisogno di empatia?

Dal 2008, con le grandi crisi della finanza, dell’ecologia, i migranti, le grandi teorie rivoluzionarie si sono mostrate inefficaci. Oggi, da un lato esiste uno sfrenato individualismo, dall’altro ci viene chiesto di essere sempre iper connessi. C’era bisogno di un collante tra la dimensione individuale e quella globale, di uno spazio intermedio in cui mettere in gioco sia l’individualità, il coinvolgimento emotivo, sia l’impegno e la partecipazione per i grandi eventi contemporanei. L’empatia è in fondo la possibilità di ricondurre a se stessi e la nostra possibilità di agire all’interno dei grandi processi storici ed economici che ci sovrastano. Se io mi riconosco come abitante del mondo, allora posso fare qualcosa, nel mio piccolo…

L’empatia si può imparare?

L’empatia ci pone sempre di fronte alla realtà delle relazioni, anche nelle dinamiche digitali che oggi esistono. Ci sono iniziative lodevoli per l’insegnamento dell’empatia. Le scuole danesi, il progetto della canadese Mary Gordon, i laboratori di medical humanities per gli studenti della facoltà di medicina… Ma la verità è che la migliore scuola di empatia resta la vita: la famiglia è una scuola di empatia, così come lo è viaggiare, leggere, fare sport insieme ad altri, camminare in montagna, guardare un film e poi discuterne, raccontare e raccontarsi. L’empatia è un’abilità individuale, ma non individualistica, e che nasce, sempre e comunque, in relazione all’altro. Un altro che guardo in faccia, tocco, arrivando a sperimentare anche i miei limiti e le mie difficoltà. Se lo si affida solo alla scuola o a corsi specifici, non si arriva troppo lontano.

Nella foto, l’opera Giallo, rosso, blu, olio su tela, 1925, di Vassily Kandinskij.

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Manuela Mimosa Ravasio è una giornalista professionista con una formazione da architetto. Ha lavorato per anni come caporedattore scrivendo di società e attualità in riviste del gruppo RCS e tutt'ora firma per i maggiori quotidiani e settimanali nazionali. Oggi svolge la sua attività da libera professionista offrendo anche consulenze in comunicazione, progettazione di contenuti e strategie narrative, e formazione per la promozione di territori.

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