Guarda. Guarda e osserva. Il paesaggio che hai davanti non ha colore. Non ha odore, forma o confini. L’occhio si perde a cercare un tratto familiare, una curva che riconduca nel rassicurante territorio della nostra conoscenza. Pare di sentir dire, parafrasando una celebre frase di René Magritte, «Ceci est une fleur». Perché il fiore è lì davvero, mentre nel caso del celebre pittore surrealista il fiore (che poi era una pipa) si vedeva sì, ma non era reale. Questo fiore scrutato attraverso un microscopio invece lo è. Lo è, anche se ciò che i nostri occhi vedono è “solo” una piatta superficie di qualche millimetro. E anche se questa insolita prospettiva lo priva della sua esteriore concretezza, dei suoi petali, del suo stelo, del suo profumo. Lo è, come mai forse lo è stato prima. Si dice che Cristoforo Colombo non si accorse di aver scoperto l’America perché era ossessionato dalle Indie. Imprigionato da questa sua visione preconcetta, perse l’occasione di provare l’emozione più importante della sua vita. Peccato, sarebbe bastato avere la mente, e il cuore, aperti. Ecco, liberare il mondo dalle tante etichette e allenare lo sguardo alla meraviglia: esattamente quello che serve, ancora oggi, per esplorare il mondo dell’infinitamente piccolo.
Per navigare nell’immensità del microcosmo e andare dritti all’essenza della vita. Un viaggio straordinario che scienza e visione spesso compiono mano nella mano. Sarà un caso, ma il 28 dicembre 1895, mentre Wilhelm Conrad Röntgen dava l’annuncio ufficiale della scoperta dei raggi X al presidente della Physical Medical Society di Wurzburg, a Parigi, nel sotterraneo del Grand Café, i fratelli Louis e Auguste Lumière presentavano al mondo il sogno visivo per eccellenza, il cinema. E ancora oggi, i primi a confermare il potere di quel cortocircuito che si crea tra immagine scientifica e la sua forza evocativa, visionaria e immaginifica, sono gli stessi studiosi. Loro che si sono “arresi” alla contemplazione estetica accettando che le immagini scientifiche fossero viste semplicemente come espressioni della bellezza dell’universo. È la biologia contemplativa. Quella che permette di vedere gigantografie di virus e batteri come nature morte, macro di pollini e tessuti connettivi come mosaici. Felice Frankel è una ricercatrice del Massachusetts Institute of Technology di Boston convertitasi alla biologia contemplativa. Così ha fatto anche la dottoressa in farmacia, e micronauta, France Bourély e tale Rob Kesseler la cui missione è quella di cambiare il modo in ciò la gente guarda alla scienza: «Catturare questa attenzione, stimolare meraviglia: questo è l’inizio del processo della scoperta». Tre capitani, tre esploratori che navigano in un pianeta visibile solo sotto la lente di microscopi complessi e potenti in grado di ingrandire fino a un milione di volte minuscoli dettagli. Eppure un pianeta pulsante e reale.
Il cambio di scala è d’altronde uno dei riti iniziatici per dare l’avvio a un’esplorazione che sa di favola: si pensi a Gulliver, Mary Poppins o Alice nel Paese delle Meraviglie. La vertigine che si crea magicamente tra il grande e il piccolo sono le due direzioni verso l’Assoluto, verso lo sconosciuto da sondare, è l’avventura per eccellenza il primo senso della scoperta. Certo, oltre a una buona dose di poesia e immaginazione, per scrutare l’infinitamente piccolo ci vogliono grandi strumenti. Il più grande di tutti è il Large Hadron Collider (LHC) e lo possiede, grazie a un investimento di 5 miliardi di euro, il CERN, il Centro Europeo per la Ricerca Nucleare che si trova vicino a Ginevra, ai piedi delle Alpi che segnano la frontiera franco svizzera. Grazie a questo potente acceleratore di particelle, a fine 2007 saremo in grado, con tutti i dubbi che la scienza impone, di identificare i così detti bosoni, ovvero quelle particelle elementari pari a 1,6 milionesimo di miliardo di millimetro su cui si fonda tutta la materia. Un passo fondamentale per la storia dell’Uomo, anche perché, a detta di molti, visto la spesa (spesa annua di sola energia consumata 25 milioni di euro) sarà l’ultima occasione che l’umanità avrà per avvicinarsi all’inizio dell’Universo, a quella che alcuni fisici chiamano la “particella di Dio”. Perché è lì, che l’infinitamente piccolo, sia esso cercato nella vastità dell’universo che nella definitezza della nostra corporeità, ci conduce. Sconvolgendo il senso comune e costringendoci a rivedere, fino alle più estreme conseguenze, il senso stesso della nostra esistenza.
Come il paradigma olografico di David Bohm, descritto nel recente libro Bohm, la fisica dell’infinito di Massimo Teodorani (Macro Edizioni, 120 pp., 11,50 euro), lo scienziato e filosofo noto per originali e innovative ipotesi scientifiche e per la sua collaborazione con Einstein e il maestro spirituale Krishnamurti. Le sue riflessioni radicali lo spinsero a ipotizzare che l’universo era in realtà un fantasma, un ologramma gigantesco e molto dettagliato. Bohm sosteneva che, a un qualche livello di realtà più profondo, ogni particella subatomica non è un’entità individuale ma estensioni di uno stesso “organismo” fondamentale. Se esse ci appaiono separate, è perché siamo capaci di vedere solo una porzione della loro realtà, e incapaci di cogliere quell’unità di base di cui esse sono semplici sfaccettature, proiezioni di un ologramma appunto. La strada verso l’infinitamente piccolo, allora, è la strada verso una nuova dimensione della nostra esistenza. Perché là, in quel luogo così infinitesimale, il senso e la ragione della vita sono estremamente vicini. La vita dell’universo è un mistero. Forse è per questo che molti evocano la “particella di Dio”. Un mistero che, come ripeteva lo stesso Einstein, è la cosa più bella che possiamo provare. È la nostra spinta ad andare avanti, a trovarci di fronte a questo sconfinato progetto che è il Creato e stupirci. E man mano che si affina la nostra capacità di scandagliare l’infinitamente piccolo, di penetrare dentro i misteri dell’universo, di rendere visibile ciò che è invisibile, ecco che la bellezza della creazione si rivela in tutta la sua potenza e bellezza. Quel genere di bellezza che, come scriveva Dostoevskij, salverà il mondo.
Questo è un articolo è stato scritto nel 2006, pubblicato su Gulliver, proprio sul viaggio verso l’infinitamente piccolo e la particella… L’ho ripubblicato oggi che è stato assegnato il Nobel della Fisica a Higgs e Englert, scopritori della così detta “particella di Dio” prevista nel 10964 e “trovata” al Cern di Ginevra.