«Non esiste nel mondo nessuna civiltà che non abbia provato il bisogno di avere i suoi giardini”, scriveva nel suo L’arte dei giardini lo storico francese Pierre Grimal. E anche la “civiltà delle ville venete”, che disegnò in modo definitivo il territorio della Serenissima dalla metà del 500, non seppe rinunciare a, sempre per citare Grimal, quel “recinto meraviglioso in cui si impara a barare con le leggi della Natura”. Architettura verde in movimento contrapposta all’architettura fissa delle pietre, i giardini sono più che semplice luogo di svago. E questo periodo storico è quello forse più propizio a una riscoperta. Per la prima volta quest’anno, per esempio, il “bosco sacro” di Villa Valmarana ai Nani, alle porte di Vicenza, è aperto con visite guidate. Visto il successo, una volta al mese l’evento si prolunga in orario serale. Passeggiando tra i lecci secolari, si arriva alla Pagoda, un edificio del Settecento interamente affrescato e con finestre a scomparsa: era il luogo dove i proprietari si riunivano a prendere il tè. Perché la Villa, che prende il nome dai diciassette nani in pietra un tempo disseminati nel giardino e oggi sui muri di cinta, era usata per villeggiatura e non per scopi agricoli. Lo testimonia anche il campo da tennis di fianco la Pagoda coperto d’erba, e la vecchia Scuderia usata come salotto estivo negli anni Trenta e poi da Carlo Scarpa come studio. La Foresteria è invece circondata da roseti, e poi il giardino all’italiana e la classica “carpinata”, un corridoio verde usato per la passeggiata estiva all’ombra.
Se si vuole apprezzare la bellezza del parco agricolo, del brolo (orto antico), che, come racconta Alberto Passi: «appartiene alla stagione più formidabile della Repubblica Veneta, con la “santa agricoltura” di Alvise Cornaro, la pax venetiana, e con quell’idea del “giardino di tutti” che darà vita all’agricoltura moderna, ai parchi urbani e ai grandi parchi naturali e protetti», ci si deve recare a Villa Tiepolo Passi a Carbonera (foto sopra, uno scorcio del parco). Qui, accanto al parco nobile e ludico, con esempi di arte topiaria di bosso, fontane, vasi ornamentali, e un giardino romantico con montagnole, grotte, serre e piante secolari, c’è il parco rustico. Si trova sul retro della villa, dove un ponte attraversa il rio Piovesan e porta a quella “campagna ben ordinata”, come la definiva il Palladio, fatta da terreni coltivati, vigne, frutteti (tutt’ora la villa è sede di un’azienda agricola). Certo, i protagonisti, a disegnare spazio e tempi, sono sempre gli alberi. Quelli che popolano il giardino di Villa Revedin Bolasco a Castelfranco Veneto, oggi proprietà dell’Università di Padova (che gestisce anche il nuovo e meraviglioso Orto Botanico) sono più di mille, e molti storici. Cipressi calvi, con radici aeree che affiorano dall’acqua, cedri dell’Himalaya, introdotti in Italia proprio dall’Orto Botanico nel 1828, e una splendida Farnia monumentale dai 145 cm di diametro.
In tema di grandeur, non si può non citare Villa Contarini. E non solo perché quei 45 ettari di parco che la incorniciano raccontano di vasti prati un tempo utilizzati come risaie, di eventi spettacolari come battaglie navali in vasche d’acqua, fastose naumachie, sfilate di cocchi a forma di conchiglia guidati da Nettuno, ma perché un lago delimitato da specie esotiche, le peschiere del Seicento oggi come allora sfondo per feste e banchetti, regalano suggestioni uniche. Ma è forse a Valsanzibio, 15 km da Padova, dove i Barbarigo vollero un giardino monumentale barocco, l’unico nel nord d’Italia pensato come un’urbe romana, che la passeggiata nel verde diventa esperienza di rinascita. Luigi Bernini, fratello di Gian Lorenzo, concepì il viale delle Peschiere, il “gran teatro d’acqua”, come un cammino di purificazione. Saggezza e consapevolezza si acquisiscono nelle quattro stanze segrete delimitate da pareti di bosso alte fino a cinque metri. E poi il labirinto (nella foto sopra), con bossi di 400 anni, allegoria perfetta della vita e, si direbbe oggi, di resilienza. E se la grotta dell’eremita invita alla meditazione e la statua di Kronos a riflettere sulla precarietà umana, scherzi, fontane e giochi d’acqua arrivano tornando alla Villa, dove un sonetto ricorda in fondo che qui, siamo in Paradiso.
Versione integrale di articolo già pubblicato su Repubblica, 29 giugno 2021