Ci sono cose da veri vichinghi che uno deve fare. Mangiare il Harðfiskur (il pesce essiccato da mangiare con il burro salato), è stato detto. Fare il bagno nell’acqua calda naturale, è quasi scontato. Poi però devi convincerti che è luglio, e anche se ci sono 7 gradi, è estate. E, in estate, si mettono le maniche corte e si fanno i pic nic all’aperto. A Hólmavík, incuranti delle nubi all’orizzonte e del vento che avrebbe portato via ogni tovagliolino di carta, ci siamo comunque fermati nella bella area verde attrezzata al porticciolo e ci siamo apparecchiati ben bene. No, non eravamo soli. C’erano anche i cugini e la famiglia di un paio di ragazzini che nella piccola baia lì davanti andavano a vela. In maglietta, naturalmente. Affranti dalla nostra manifesta inferiorità nella termoregolazione, torniamo sulla Ring Road: il traffico ritrovato quasi ci stordisce e di malavoglia ormai ci avviciniamo a Hvammstangi, alla base della penisola di Vatnsnes, dove ci sono altre colonie di foche: la strada qui è completamente sterrata, ci si mette più di un’ora a percorrere tutto il perimetro della penisola, poi ci sono le soste, compresa quella davanti al faraglione di Hvítserkur. Armati di buona volontà entriamo anche in quello che sarebbe il Centro Islandese delle Foche, due stanzette con qualche animale imbalsamato, il resto di un’imbarcazione e di attrezzi per la pesca, e un video, credo degli anni Ottanta, in cui si vede la storia del rapporto tra questo meraviglioso animale e l’uomo, compreso il tempo in cui delle foche si utilizzava tutto, per mangiare e vestirsi. Se volete organizzano anche delle gite in barca nel fiordo per vederle, se volete…
Fino ad Akureyri è ancora verde e ghiaccio, una campagna piatta e forse meno sconvolgente. Ci avevano detto che però questa era la zona più calda dell’Islanda, dove le temperature arrivano fino a 24 gradi, tanto che i dintorni di Akureyri sono i preferiti dagli islandesi per trascorrere le vacanze. Sembrava impossibile, ma dopo una decina di giorni, ecco che il cielo si fa di un azzurro luminoso ed è estate. Davvero. Il caldo, i croceristi che invadono le strade e fanno shopping, la coda (assurda) alla gelateria (Brynja) che mi convince che deve essere davvero qualcosa di speciale… così la voglio fare anch’io, insieme ai bambini scalzi e alle ragazze in uniforme ginnica, io che odio le code, ma davvero voglio capire questa processione che arriva da ogni parte con l’aria di festa. Vi riassumo: se qualcuno avesse intenzione di aprire una vera gelateria, anche di media qualità, a Akureyri farà soldi a palate. Il pomeriggio decidiamo di passarlo al parco e giardino botanico. Sdraiati sull’erba a fare incetta di colori, profumi, luce. Ci mescoliamo a ragazzi, famiglie, bambini che gattonano sull’erba. Schiacciamo pure un pisolino, all’ombra, che fa davvero caldo. Le ville del primo Novecento di Akureyri sono bellissime oggi, sarà per il blu del cielo, di questo fiordo placido che sembra non finire mai. La verità è che questo è il pomeriggio di assoluto riposo precede l’uscita in gommone per vedere le balene, megattere precisa #ladolescente, che di Moby Dick non se ne vedranno certo, e noi aspettiamo.
Si può lacrimare di bellezza? Sgranare gli occhi per volerne ancora, proteggersi le orecchie perché i suoni non se ne vadano, volersi buttare, essere tutt’uno. Sarà stato per il giorno particolarmente fortunato (il mare era un lago), per la bravura delle guide di Ambassador Whale Watching che ci hanno portato con discrezione vicino alle balene, parlando piano, spegnendo i motori, ma avvistare le balene in gommone, il che significa massimo dodici persone e quasi a pelo d’acqua, è un’esperienza unica. Ho invidiato solo quella famiglia, madre, padre e bambina, ognuno sul suo paddle surf, che era vicino a noi. Quando le balene hanno danzato e mostrato la coda sono rimasti immobili, in piedi, il padre ha tirato solo la bambina più vicino a sé, e hanno guardato. E ascoltato. Ascoltato il rumore sordo del loro sbuffo, l’ansimo che viene dal profondo, il respiro del mare che si fa suono, musica. Cose che non si possono catturare con una, cento, mille, foto, e che pure restano la magia di un incontro unico. Ho pensato che anche le tre balenottere componessero una famiglia, e che si salutassero fra loro. Poi mi sono promessa che se fossi tornata a stare con le balene, avrei provato così, su un paddle surf, cullata dal silenzio e dalle acque che muovevano. Tornati verso il porto, ci hanno quasi buttato sotto una cascata di acqua calda che si trova a lato del fiordo. Un urlo liberatorio, una risata. Il tempo della poesia era finito.
(Per info turistiche consiglio it.visiticeland.com. Per leggere della mia esperienza ospitalità Airbnb clicca qui. Qui invece la Parte 1; Parte 2; Parte 4; Parte 5 del Giro in Islanda. Se volete sbirciare le mie foto c’è il mio profilo Instagram @manuelamimosa o l’hashtag #tuttalasolitudinechemimerito).