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E anche il gelato diventa gourmet…

Ora che apprezziamo il manzo di Kobe e alterniamo con naturalezza quinoa e amaranto, ora che sappiamo distinguere l’asparago bianco di Bassano da quello di Terlano, possiamo anche dedicarci al gelato. Quello artigianale s’intende, che prima leccavamo con avida leggerezza a passeggio, e che ora si sta conquistando la dignità di un piatto gourmet. «C’è chi scalpita per una visibilità maggiore e, parallelamente, c’è il desiderio di riappropriarsi di un alimento, essere più consapevoli di lavorazione e ingredienti. E poi ci siamo noi, che cominciamo a comunicare meglio il nostro lavoro». Parole di Paolo Brunelli (nella foto), maestro gelatiere con la presunzione di cercare la ganache perfetta (lo si trova ad Agugliano e Senigallia), e che dice di aver visto il gelato in tutte le facce: quello della nonna da bambino, quello ipercostruito degli anni Ottanta, e quello odierno: prodotto edonistico per eccellenza che trasforma la coppetta da tre euro in una degustazione itinerante di crema all’uovo accompagnata da pomodoro e mais canditi con spugna di piselli, in un gelato alla mandorla spolverato di pecorino dei Monti Sibillini, o in una ricotta semplice servita con macinato di caffè. Per dire, la sua lezione all’ultima edizione di Identità Golose titolava ‘Tradizione Sovversiva, viaggio nel riconoscimento del quinto gusto e nello sconvolgimento del colore’, dove il quinto gusto è l’umami: «L’obiettivo è cercare la completezza sensoriale anche nel gelato. L’umami è il gusto percepito con il latte materno e se si riesce a stimolarlo, magari con uno sciroppo di glucosio ricavato dal mais, il latte di mucche nutrite a fieno e granturco, allora andremo oltre le classiche sensazioni di dolce, acido, cremoso…».

Intanto, insieme al Centro Studi Assaggiatori di Brescia, dal 18 giugno, alla Carpigiani Gelato University, va in scena il primo corso al mondo per degustatori di gelati. Si insegna a giudicare lucidità e tessitura, cristallizzazione e untuosità, sentori di latte, panna, e problemi di pastorizzazione. L’altra première della nuova frontiera del gelato sarà invece dal 22 al 26 settembre al Salone del Gusto di Torino dove per la prima volta Alberto Marchetti trasformerà la sua gelateria di via Po in un laboratorio aperto e darà vita alla Via del Gelato. «Ma sarà anche l’occasione» dice «per fondare la Compagnia dei Gelatieri e riunirci sotto regole etiche e di contenuto condivise con Slow Food». Perché la mancanza di un disciplinare del gelato artigianale è ormai problema pressante, tanto più che su quasi 40 mila gelaterie artigianali solo una piccola percentuale (si dice dal 3 al 5) lo è veramente. Il tutto mentre gli appassionati aumentano, pronti ormai a scegliere il gelato dal menu e non guardando la vetrina, e a degustare limoni o nocciole “in gelato” di diversi cultivar. «Un gelato “gourmet” è il risultato di ricette personali, di una ricerca seria di ingredienti, di un controllo totale della filiera: dal latte agli zuccheri. Oggi si utilizzano zuccheri d’uva, di canna, di barbabietole italiane…. Il gelatiere, come il grande chef, è sempre alla ricerca di produttori: io stesso fino a che non ho scoperto un particolare savoiardo sardo non ho fatto il gusto Tiramisù. Certo,» conclude Marchetti «il gelato è e dovrà restare un prodotto alla portata di tutti e sarà difficile farlo con fragoline di Tortona di 25 euro al chilo».

La sfida sarà quindi quella di unire ricerca e popolarità. Un aiuto potrebbe arrivare dalla tecnologia creata da Gaya GelatoLab che consente di mantecare in poco tempo piccole quantità e avere gelati fatti al momento, davanti al cliente. Una sfida che ha raccolto Antonio Cappadonia, già direttore dello Sherbeth Festival di Palermo (29 settembre – 2 ottobre) e che entro fine luglio (si spera) aprirà in piazza Bagnasco. Per ora sta lottando tra burocrazie e carte, ed è solo fortuna se si riesce ad assaggiare il suo sorbetto di arance bionde di Scillato, fatto con succo in purezza e l’aggiunta di soli 40 grammi di zucchero di canna bio del Paraguay per favorire la cristallizzazione, trasformato in granita senza macchine frigorifere, ma mescolando manualmente, e usando per il raffreddamento una miscela di neve e sale. Come centinaia di anni fa insomma. Ecco la novità.

IMG_1165Articolo già pubblicato su Repubblica del 28 maggio 2016.

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Manuela Mimosa Ravasio è una giornalista professionista con una formazione da architetto. Ha lavorato per anni come caporedattore scrivendo di società e attualità in riviste del gruppo RCS e tutt'ora firma per i maggiori quotidiani e settimanali nazionali. Oggi svolge la sua attività da libera professionista offrendo anche consulenze in comunicazione, progettazione di contenuti e strategie narrative, e formazione per la promozione di territori.

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