Nell’epoca del cibo ossessione, passato, come scrive l’antropologo Vito Teti nel suo ultimo Fine Pasto (Einaudi), dall’essere un’utopia per le “pance vuote” al troppo pieno, di senso e di fatto, delle nostre tavole, non poteva mancare la variante del crudismo. Che ci dovrebbe riportare, secondo le parole di Stefano Momentè, esperto di alimentazione e autore di numerosi libri sul tema, «al cibo originario, il più vicino possibile allo stato naturale e per questo ricco di tutti i nutrienti in forma perfetta». Il cibo che ci accomuna agli altri essere viventi del pianeta insomma, i quali, al contrario di noi, non lo cuociono, non lo mescolano e se ne nutrono solo quando hanno fame. Questa, per così dire, l’apparecchiatura salutista e socioculturale, contornata dalla solita sfilza di star che giurano di seguire la dieta crudista, almeno nella sua versione contemporanea, quella cioè che oltre ai vantaggi nutrizionali, appaga palato e vista.
Un crudismo gourmet che rispetta le regole di un regime alimentare che prevede un consumo prevalente di verdure e frutta di stagione, quindi di semi oleosi, noci e germogli e pochissimi condimenti (banditi, grassi saturi e zuccheri). E che, come dice la chef Daniela Cicioni: «È anche un reset del nostro sistema gustativo: la mancanza di calore modifica infatti il modo in cui recepiamo odori e sapori spingendoci a re-imparare non solo a nutrirci, ma anche a gustare». Poi si scopre che crudo non necessariamente significa freddo, e che si può arrivare fino ai 45 gradi, una temperatura che mantiene attivi gli enzimi che aiutano le attività digestive e che non altera la struttura di proteine e vitamine. Pochi sanno infatti che la vitamina C sopra i 60 gradi perde completamente le sue proprietà, o gli spinaci l’acido ossalico. «Usando i frullatori professionali, si possono preparare vellutate di verdure comunque tiepide e con tutti quei principi nutritivi e profumi delle erbe che verrebbero eliminati dalla cottura tradizionale» conclude Cicioni.
Senza essere troppo estremisti, c’è chi consiglia di adottare la dieta crudista anche solo per un tempo limitato di tempo come detox, o di privilegiare il crudo specialmente quando si tratta di verdure fresche a foglia verde, la cui assunzione è consigliata prima di ogni pasto. L’effetto moda si legge invece nelle aperture dei tanti ristoranti, da quello di Marina Dell’Utri a Milano, il Mantra Raw Vegan con lo chef Alberto Minio Paluello e una collezione di cold press juice nel market interno; al Soul Kitchen di Torino. A Roma, Simone Salvini, cresciuto nella cucina stellata di Pietro Leemann, e oggi Executive Chef dell’Organic Academy, nel suo Ops! organizza laboratori di cucina crudista (il prossimo il 7 dicembre). E lo stesso fa Vito Cortese, chef formatosi all’accademia di Matthew Kenney, con GrezzoItalia, specializzato in pasticceria crudista e raw chocolate. Per non farsi mancare niente.
Nella foto, un panino crudista ottenuto con farina sgrassata di mandorle e polpa di zucchine, essiccato a 45 gradi e ricoperto di polvere di barbabietola, e farcito con fermentino (“formaggio” fermentato di semi oleosi) di macadamia, alga spirulina, germogli di crescione della chef freelance e consulente Daniela Cicioni.
Articolo su pubblicato su Repubblica del 28 novembre 2015