appunti di viaggio
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Egadi, Odissea blu

[Articolo pubblicato su Sette il 11 luglio 2014] C’è chi dice che la storia delle Egadi, l’anima di questa manciata di isole nel blu più blu del Mediterraneo, sia la storia della pesca del tonno. Ma i tonni in queste acque hanno cominciato a scarseggiare a partire dagli anni Settanta a causa dell’inquinamento acustico e delle tonnare volanti nello stretto di Gibilterra, mentre le tonnare di corsa, o “di attesa” come le chiamano da queste parti, prima quella di Formica, la più pescosa e meno conosciuta, poi quella di Favignana con lo stabilimento Florio, oggi museo di archeologia marina e cultura isolana, hanno cessato di essere calate in mare poco dopo. Eppure, chi si trovasse a navigar per questi lidi, abbagliato dal bianco calcareo e dai fondali cangianti, non potrebbe far a meno di abbandonarsi a quella che, se non è più storia, è almeno mitologia. La mattanza, un rito che qui si è prolungato, ultimo ad arrendersi nel Mare Nostrum, fino al 2007, ha ancora i suoi eroi. Eroi che oggi accompagnano in giro per le isole a bordo delle loro barche, eroi chiamati a presiedere banchetti altolocati, finiti in speciali televisivi e reportage, ed eroi che, nella sala Torino dell’Ex stabilimento Florio hanno un loro posto d’onore. C’è u Zu Sabbaturi, il boia dei tonni, al secolo Salvatore Mastrobattista, classe 1920 e in tonnara dal 1932, quando, a dodici anni, fu ammesso nel gruppo dei Beati Paoli, ovvero i ronchiatori, i tagliatori di teste, più esperti. C’è Clemente Ventrone, l’allievo più noto, una sorta di Poseidone dai capelli imbiancati dal sole, che a quattordici anni ha cominciato come scaricatore di sale per poi diventare “tonnaroto”, uno dei ruoli più importanti della mattanza. E Peppe Nue, che da Favignana non è mai uscito e ora, come Giuseppe Giangrasso, fa il custode del museo e, nella visita delle 1030, la guida d’eccezione fino alla grande trappola dove ancora intona, o forse urla, “a ‘cialoma”, il canto che dava il ritmo alla serrata dei tonni dentro le reti. E c’è naturalmente Gioacchino Cataldo, l’ultimo Raìs, il maestro e dominus assoluto della tonnara, dal 2006 “Tesoro umano vivente”, secondo la Convenzione per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco, il primo – dice lui – a organizzare il “pranzo in barchetta” per i turisti: «L’ultima mattanza fu sabato 9 giugno 2007 e pescammo 214 tonni. E oggi che i tonni si pescano sì, ma a Marsala e all’amo, io faccio vedere i colori, i profumi e i sapori dell’isola dalla mia barca».

Quando soffia il favonio, il vento da ovest che dà il nome a Favignana, si va al Bue Marino e a Cala Rotonda. Con lo scirocco invece, Cala Rossa, Punta San Nicola e Cala del Pozzo sono i rifugi migliori. Ma appunto, di pesca di tonno rosso, non se ne parla. Triglie, naselli, gamberoni, sardine, sgombri, polpi, mustele, quelli sì: basta aspettare i pescatori che tornano dallo strascico al porto del paese (dal lunedì al venerdì dalle tre alle quattro del pomeriggio). A Marettimo, la più lontana, la più isola-ta, figlia prediletta del Mediterraneo, un anno fa se n’è andato il simbolo della comunità dei pescatori, Vincenzo Ricevuto. «Ci imparava come si chiamavano le punte» dice Filippo Incaviglia, 59 anni, in mare con le reti da quando ne aveva otto, meglio conosciuto come Pippo il pescatore. Tant’è che di Ricevuto rimane la cartina con i nomi marettimari – Punta Bassano, Punta Libeccio, Punta Mugnone, Punta Troia – di questo stralcio di terra di “mare e timo”. Della comunità di pescatori invece, pochi giovani, e molti che in mare vanno ormai per i turisti. «Oggi mi hanno domandato l’aragosta, vediamo se si trova» dice Pippo. «Trent’anni fa bastava mettere una palamitara e al mattino trovavi anche 30 chili di ricciole, se non passava la foca a mangiarsene la metà… oggi ne trovi due, ma le chiedono lo stesso». D’altra parte, ci ha insegnato Gilles Deleuze, l’isola è un’idea a cui non sappiamo rinunciare.Delle isole non possiamo fare a meno, come del sogno o della separazione dal mondo. Abbiamo bisogno di un luogo perfetto e finito che ci regali l’illusione di un tempo sospeso in una perenne nostalgia. Un’illusione che nelle Egadi è forse più radicata che altrove. E non a caso.

Quando, nell’agosto del 1894, lo scrittore inglese Samuel Butler arrivò con un postale a Marettimo per cercare conferme geografiche alla sua tesi secondo cui Trapani e il Mediterraneo occidentale erano il vero teatro dell’Odissea, scopre un mare e una comunità vive che, per primo, fotografa. Scopre che il mare gorgoglia dietro le barche, che la terra dei Ciclopi è Erice, mentre Scheria, con il suo porto a forma di tridente, non è altro che Trapani. E scopre che l’isola delle capre selvatiche dove Ulisse incontra Polifemo è Aegusa, ovvero Favignana, che Levanzo, con i suoi graffiti e pitture rupestri risalenti al Paleolitico e della Grotta del Genovese, è Zacinto, e che Marettimo è, in vero, Itaca. Ecco la madre di tutte le idee, di tutte le isole. Ma Butler si spinge oltre e dichiara che non fu Omero, ma una giovane donna trapanese a scrivere l’Odissea. D’altra parte, e non solo metaforicamente, qui sono “i fimmini” a tessere le reti. A preparare il coppo, la rete centrale che compone, nella mattanza, la camera della morte. Sono così le donne di queste isole. Quelle che vedi ancora sull’uscio delle case del borgo di Sant’Anna, il rione più antico di Favignana, dietro piazza Madrice, tra stradine strette e lucide, tra orti e giardini inghiottiti dalle vecchie cave. Donne che resistono nella manciata di abitanti di Levanzo (poco più di una ventina quelle che rimangono d’inverno) e che, come racconta Michele Gallitto, storico autodidatta autore di Egadi ieri e oggi «non solo lavoravano alla tonnara, ma, per alcune ore al giorno, aiutavano anche nelle cave». Sulle cave Gallitto sta scrivendo un libro, perché lui di tonni e tonnare non vuole parlare. Fa parte di quella schiera di persone che dell’isola non vede ciò che sta intorno, il mare, ma ciò che sta dentro. E dentro, per le Egadi, significa pietra.

Persino di spiagge, ce ne sono pochissime (solo a Favignana: Lido Burrone, Cala Azzurra e le piccole cale de I Calamoni). Il resto, è una terra dura e aspra battuta dal vento e dal sole: le basole bianche di Levanzo, la montagna di Marettimo, Pizzo Falcone, le fortezze di Punta Troia (da poco restaurata e trasformata nel Museo delle carceri e l’Osservatorio della foca monaca delle Egadi) e di Santa Caterina. Ma sono le cave di calcarenite, o meglio i cavatori, i “pirriaturi”, ad aver dato forma a Favignana secondo Gallitto: «Questi piccoli giganti si facevano strada a mani nude a colpi di mannaia nella pietra, tanto che alla tonnara, dicevano, loro andavano per giocare…». Quello che resta di queste gole di fatica sono i giardini ipogei riempiti di alberi da frutto, aranceti, cactus, melograni e fichi d’India, odoranti di capperi e di timo. Le più belle sono vicino al Bue Marino, Cala Rossa e Scalo Cavallo, ma solo una, è ancora attiva. La proprietà, da duecento anni, è della famiglia di Livio Gandolfo che di altre cave in disuso ha fatto due hotel che sono: «un atto d’amore verso un’isola e una pietra che viene dal mare». E che porta i segni di conchiglie, crostacei, lische e alghe fino a dodici metri sotto il livello della campagna, dove, di fatto, stanno le camere degli ospiti. «È stato un modo per far sì che il turismo di Favignana e delle Egadi fosse tutt’uno con la vita e l’anima di questi luoghi. Un modo per far sopravvivere terra e storie» dice Gandolfo. Poco più in là, anche la casa di Zu Nillu, una donna che di una cava era stata sorvegliante ma che per poter assolvere ai suoi doveri sociali si era trasformata in uomo, è stata ristrutturata e trasformata in una lussuosa villa ora di proprietà di un famoso attore italiano. Petronilla, che a 23 anni diventa Nillo e che vive il resto della sua vita in un altro sesso sposandosi addirittura due volte, è un altro dei racconti dell’isola, quasi una leggenda, al pari dei miti di tonnara; ma quando chiedi qualche aneddoto i favignanesi si schermiscono, pur non mostrando più di tanto stupore. Sanno che anche le viole, dei pesciolini che vengono serviti fritti durante i pranzi in barchetta e chiamate donzelle di mare, dopo aver deposto le uova cambiano sesso e diventano pesci maschi, le “minchia di re”. Come dire che tutto passa e si trasforma, ma in fondo, tutto resta com’è. Che qui siamo su un’isola, e che quando il periplo finisce, ci si ritrova in realtà al punto di partenza. Anche i grossi tonni dopo tutto, dopo il divieto del 2010 delle tonnare volanti, stanno tornando. E ora, come allora, tutto torna mare, pietra, pesca e sole. Parola di Raìs.

Le isole in tasca Favignana, Marettimo, Levanzo, l’isolotto di Formica (un grosso scoglio tra Levanzo e la costa trapanese con un perimetro di circa 3 chilometri) e lo scoglio disabitato di 600 metri di Maraone: queste, in ordine di grandezza, le isole che compongono l’arcipelago delle Egadi. Inserite nell’Area marina protetta più grande d’Europa, si vantano della prateria di poseidonia più estesa e meglio conservata del Mediterraneo (6 mila 500 ettari), visibile, per l’eccezionale trasparenza delle acque, fino a 52 metri di profondità, e, da qualche hanno, della ricomparsa della foca monaca. Le strutture ricettive, se si esclude il Marettimo Residence e il recente Cala del Porto nei pressi del porticciolo dell’antica Hiera, sono soprattutto a Favignana. Si può dormire in hotel ricavati da cave dismesse all’Hotel delle Cave (300 metri dal mare di Scalo Cavallo e Cala Rossa) e al Cave Bianche Hotel, oppure accettare l’ospitalità familiare di quelle che sono considerate, a ragione, le migliori cuoche dell’isola, le sorelle Maria e Giovanna Guccione che ora, delle loro ricette, hanno fatto un libro e si limitano ad affittare case vacanza (tel. 0923922233) graziando i fortunati ospiti con un invito a cena per ricordare – dicono – i tempi gloriosi in cui si mangiava all’Hotel Egadi. L’aragosta, se non riuscite a ordinarla direttamente dai pescatori locali, si mangia a Marettimo da La Scaletta (tel. 0923923233) e Il Veliero (tel. 0923923274). A Favignana, oltre allo storico El Pescador, cous cous alla trapanese, grigliate e timballi con le sarde da Il giardino delle aloe, mentre a Levanzo resiste, insieme alla sua terrazza con vista strepitosa, il Paradiso (tel. 0923924080). Se volete, potete anche fermarvi una notte, altrimenti, chiedete di Pietra (il nome dato dal padre in onore di Levanzo) e delle sue case, una donna trapanese che da tre anni si è trasferita qui e in autunno e inverno organizza week end di chiacchere e trekking dedicati alle donne. Ma se è uno spaghetto con le sarde o una scorpacciata di viole fritte in barchetta quello che cercate, Gioacchino Cataldo e la sua barca Laura sono a disposizione (tel. 3386363618). La Cooperativa San Giuseppe organizza invece tour di pescaturismo, mentre sono molte le guide e le associazioni che organizzano trekking sulle isole. Info su portale turistico isole Egadi .

La foto ritrae Cala Rossa, a Favignana, dall’alto.

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