«Non sono un nostalgico. Per me fare l’agricoltura è il futuro. È con pascolo e campi coltivati che si preserva il paesaggio, e oggi, anche chi passa qui solo qualche settimana di vacanza riconosce il valore di un territorio ben tenuto, lo vuole quasi “assaggiare”. Vent’anni fa era diverso, ora siamo più consapevoli». Ha le idee chiare Sébastien Guichardaz, fresco di diploma all’Institute Agricole di Aosta, le estati passate ad accudire capre e pecore per farsi le ossa, con suo fratello ha fondato Le Beson (“gemello” in patois), azienda agricola con i coltivi davanti la Casaforte di Tarambel, i resti di una torre medievale testimone dei primi insediamenti a Epinel.
All’estremità dei Prati di Sant’Orso sta invece costruendo la stalla per le sue capre Camosciate delle Alpi e pecore Laucone. Inizia all’alba con la raccolta e la distribuzione delle verdure agli hotel e ristoranti della valle (Hotel Sant’Orso, Lou Ressignon, Les Pertzes…), poi, facendo parte della nazionale di sci alpinismo, gli allenamenti, e da qualche settimana, la Boutique Agricole, nuovo indirizzo voluto da Paola Bortoli e Massimiliano Glarey di La Ferme du Grand Paradis, l’agriturismo “storico” di Valnontey. Generazioni che si incontrano, anche se il rinnovamento ha riguardato anche la Ferme che ora ha una buvette per, come dice Paola: «prendere un gelato fatto con il nostro latte o degustare un tagliere di salumi e formaggi guardando il Gran Paradiso, magari con la mucca che, uscita dalla stalla, si fa il giro tra i tavoli con gran divertimento per i bambini».
La buvette è soprattutto il luogo di Michel, il figlio dei Glarey, 18enne agricoltore appassionato di formaggi, continua così la tradizione di una famiglia custode del Duché d’Aoste, vecchio formaggio d’alpeggio poi scalzato dalla nota fontina e apprezzato nella stagione autunnale perché più stagionato. A ottobre, dopo tutto, profumi e colori cambiano. C’è l’osannato foliage, con tanto safari fotografici nel week end, e c’è la trebbiatura del grano che servirà a fare i tradizionali pan ner e mecoulin. Nel week end del 2 ottobre, Damien Charrance porta la segale che coltiva in un piccolo appezzamento di Gimillan nella piazzetta della chiesa San Pantaleone: «È un modo per conservare quella che per noi è sempre stata una festa: la cottura del pane nel forno comune. È mio padre che accende il forno, uno dei pochi che ancora sa come si fa, con due quintali di legna, a portare la temperatura a 200 gradi e mantenerla per un mese intero, dicembre, quando le famiglie del villaggio, bambini compresi, impastano e cuociono i loro pani».
Damien, agronomo di professione, per passione fa l’apicultore. Le sue arnie sono lungo il sentiero che da Gimillan porta a Epinel, sotto i campi dove Giorgio Elter coltiva verdure (e a ottobre finalmente le patate quarantine!), piccoli frutti ed erbe aromatiche e medicinali. Un giardino di genziane, timo serpillo, issopo, calendula, menta, rodiola, iperico, malva, genepì, lavanda e rabarbaro a 1800 m. affacciato sul Gran Paradiso, da cui ricava oleoliti, acque aromatiche, confetture. In basso, i prati di Sant’Orso si preparano all’inverno e ad accogliere le mucche che ritornano dagli alpeggi. È la Deveteya (2 ottobre), sfilata che ricorda la vocazione della valle per la pastorizia. Vocazione che Massimiliano Garin ha fatto sua fin da bambino. Ora, nella sua stalla gioiello di Gimillan, di mucche ne ha cinquanta, tra pezzate rosse, castane e nere valdostane, di quelle che partecipano alla Bataille de Reines (finale 24 ottobre nell’Arena Croix Noire di Aosta). «Ho iniziato dieci anni fa. Ora vedo che molti giovani dicono di voler fare l’agricoltore, spero non sia un fuoco di paglia». Mentre lui segue gli animali al pascolo, si occupa di fienagione e irrigazione dei campi, Marta Torretta, la compagna, segue la produzione dei formaggi. A lei se devono il Coquadar, formaggio a pasta molle fatto con il latte crudo, ideale per cucinare risotto, fonduta o raclette, e di cui esiste da pochi mesi la versione per due, Bandit, affumicata su assi di legno e da scaldare la forno per gustarlo al cucchiaio, e un erborinato naturale di due mungiture e due lavorazioni diverse. Trovi tutto, da poche settimane, a Lou Tsaven de Noutra Tera, dal nome del cesto che i contadini usavano per il cibo: «Avevamo voglia di aprire una finestra sulle eccellenze della Valle, con un occhio di riguardo verso le realtà più giovani» dice Marta. E in effetti, curiosare tra gli scaffali di questa bottega gourmet equivale a viaggiare tra i sapori e i profumi di queste montagne. Ad assaggiare il territorio.
Versione integrale di articolo pubblicato su Dove ottobre 2021.