Devo confessarvi che sono un po’ a disagio quando sento ripetere che siamo “il più” Bel Paese del pianeta, invidiato da tutti, ai primi posti nelle ricerche e trend topic. Quello con i borghi che incantano, mentre il mare blu languisce, e presto ci trasferiremo in massa tra galline e orti bio. Mi chiedo se davvero la bellezza possa bastare a sé stessa e in cuori mio conosco la risposta, e non è rassicurante. Ho deciso che una della mie pillole nel corso di formazione sulle “parole che fanno una destinazione” (prossima tappa Biccari) sarà una sistemica, ma scrupolosa pulizia da ogni retorica. Nessuno più della sottoscritta crede in borghi e comunità, ma quel 70 per cento di paesaggio che compone il nostro territorio italiano in verità manca spesso, e suo malgrado, dello sguardo e delle competenze, quando non delle infrastrutture, per “rinascere” davvero (già rinascere è parola che mi crea alcune inquietudini). Meglio ancora, direi, per vedere se si può ragionevolmente restare in un luogo e creare qualcosa che ti fa mantenere la famiglia. Perché questo è. Una volta in un monastero greco ortodosso il fotografo che mi accompagnava ripulì la foto del vecchio refettorio da uno split dell’aria condizionata. Le suorine anziane che morivano dal caldo in estate, avevano tutte le ragioni, ma afa e sudore minavano l’incanto bucolico. È il solito modo di “fare il turismo con le bugie degli altri” e forse è una cosa con cui dovremmo fare i conti. Mi ha detto la stessa cosa qualche giorno fa un giovane agricoltore valdostano che sposta ancora a mano gli erogatori per irrigare i prati. “Qui, vogliono i prati verdi, il paesaggio rurale, i giovani che ritornano alla terra, all’agricoltura di una volta, ma se gli altri raccontano, la schiena ce la rompiamo noi”. Ecco, no grazie. Esiste un’altra strada?
Alla 17esima Mostra Internazionale di Architettura curata da Hashim Sarkis e che porta il titolo How will we live togheter?, c’è anche la mostra Borgoalive! #SmartNeighbourhood. Tre borghi (Accumoli, Venzone, Esino Lario), che con tavole, progetti, installazioni e immagini, si raccontano per provare a essere un esempio per chi crede che ogni borgo italiano, per contrastare lo spopolamento, debba iniziare un processo di rigenerazione attraverso politiche lungimiranti, l’adozione di tecnologie, e la cooperazione dell’intera comunità. La mostra è in collaborazione con la Donau-Universität Krems e Roberto Pirzio-Biroli, l’architetto responsabile di uno dei miracoli del Friuli post terremoto 1976 con il recupero di Venzone, attraverso quella che è stata definita la ‘metodologia della ricostruzione partecipata’. Metodologia che verrà replicata per Accumoli, colpito dal sisma del 2016, e dove sarà riproposta la Scuola della Ricostruzione che aveva formato tecnici e competenze nel borgo friulano.
La case history che funge da modello è però quella di Esino Lario, paesino isolato di soli 750 abitanti in provincia di Lecco, che grazie al lavoro partecipato dei suoi abitanti e di un sindaco illuminato, Pietro Pensa, è il primo comune d’Italia ad aver messo in pratica le nove Best Practices che il CEA ha definito (insieme a quegli stessi abitanti) per un percorso di reale riqualificazione. Il “Metodo Esino” in pratica, si è realizzato secondo queste tappe: recupero dell’antica Villa Clotilde, trasformata in un luogo di aggregazione e centro per la promozione del territorio (forum), costruzione di un eliporto per il soccorso rapido, 15 associazioni di volontariato e un progetto di telemedicina (health), organizzazione del convegno mondiale Wikimania Esino Lario nel 2016 che vedeva giovani di tutto il mondo alloggiati in un grande albergo diffuso (youth), connessione di tutto il paese con banda ultra larga, aperta e gratuita, teleriscaldamento (smart), mezzi elettrici per un servizio car sharing e colonnine per ricaricare bikes e automobili (mobility), teleriscaldamento a biomasse legnose, pannelli solari per energia elettrica, raccolta porta a porta dei rifiuti urbani differenziandoli (green), trasformazione dell’ex albergo La Montanina in un ostello tecnologico per chi arriva per convegni, corsi di formazione… (recovery), un ecomuseo e il Museo delle Grigne per valorizzare il patrimonio materiale (culture), gestione efficace e consapevole della proprietà immobiliare con qualità diffusa dei servizi (cooperative).
Le parole da tenere a mente sono ovviamente quelle tra parentesi. Nel senso che sono quei concetti base i nove passi da spuntare per diventare un vero Borgo Alive. Entro la prima metà del 2022 nascerà anche la piattaforma editoriale borgoalive.org per il sostegno e la promozione di tutti i borghi che vogliano aderire al network. Si promette visibilità (avranno modi di presentarsi e raccontarsi) a livello nazionale e internazionale, consulenza, servizi, opportunità di condivisione. All’interno dell’App Tourist Office, entro un mese ci sarà una sezione dedicata Borgoalive, in cui sarà possibile navigare per scoprire località, eventi, punti di interesse culturali e paesaggistici, percorsi culturali e naturalistici, news… Si tratta di un progetto che vuole dare gli strumenti per abilitare più luoghi alla loro auto-progettazione, all’insegna della salvaguardia e valorizzazione del patrimonio storico, naturale, artistico, architettonico e socioculturale.
La parola comunità, nella sua accezione di comunità attiva, è ancora una volta al centro perché è ormai chiaro che senza una comunità consapevole e partecipante non esisterà un vero futuro per nessun territorio. È il (solito) ritornello dell’importanza dei valori identitari in cui si riconoscersi, anche se ritengo altrettanto edificante in-formare cittadinanza e autorità competenti delle opportunità economiche offerte dal turismo di prossimità, dal turismo lento, e da tutti i nuovi modi di vivere, abitare e lavorare che stanno modificando l’assetto dei luoghi di vacanza. Si legga, a questo proposito, il nuovo libro di Valentina Boschetto Doorly, La terra chiama, Il nostro futuro lontano dalle città, una fuga dalla città 4.0, verso le campagne, le montagne e i borghi isolati. Io, che mi definisco “aspirante migrante verticale”, e che ho imparato che per perdere le abitudini cittadine e diventare montanari doc ci vogliono almeno 25 anni, per ora devo amaramente constatare che fugge in vero solo solo chi può. Il mio spirito polemico, mi fa osservare che gli altri che restano nelle città e che continuano a chiamare vacanze le vacanze, lavoro, il lavoro, non sono in vero una quantità trascurabile. È l’ironia sorniona e cinica che ci riserva la vita e che fa venire il dubbio che queste “migrazioni” possano essere una sorta di nuovo lusso. L’ultimo luxury escape della contemporaneità. Roba da maneggiare con cura, quindi. Che peggio della retorica c’è solo lo snobismo.
Se vuoi saperne di più o posso aiutarti per una consulenza e tue esigenze in ambito turismo contattami a info@migrazioniverticali.it.