Piove a dirotto quando metto piede a Borgata Paraloup. Arriviamo con la macchina fino a Chiot Rosa, a Rittana, e poi, vorrei proseguire a piedi, ma il tempo stringe, e arriva la “navetta” a farci fare l’ultimo tratto. Capisci subito che arrivi in un alt(r)o luogo: non è un rifugio tutto agghindato per le merende in quota, non una residenza diffusa per qualche ritiro contemplativo, e nemmeno uno sgarrupato ammasso di casotti. Vi risparmio la storia del recupero architettonico (per quanto interessante vi rimando al sito della Fondazione Nuto Revelli per leggerla), e pure quella di una lettura socio tipica di chi dovrebbe frequentare questi luoghi. Basti dire che qui, nonostante la pioggia e l’umidità, c’è un sacco di gente. Borgata Paraloup è quindi prima di tutto questo, un luogo immerso in un bosco silente che ora si riempie di vita. Merito della Fondazione Nuto Revelli che ha riabilitato questo ex borgo partigiano in un luogo che si prende cura della cultura della montagna (e che ora ospita anche un teatro all’aperto, un museo, una cineteca, baite riadattate per coworking o residenze artistiche). Ed è quasi naturale che sia nato qui un progetto come Wecho: l’eco delle donne di montagna.
Senza le donne la montagna muore
È una citazione della Dichiarazione di Thimphu, avvenuta durante UN Global Mountain Summit del 2002 in Bhutan, che apre la presentazione del progetto Wecho. «Tutto nasce da Nuto Revelli, alpino e partigiano che dopo la guerra ha raccolto le ultime testimonianze degli abitanti delle valli cuneesi in spopolamento» dice la direttrice della Fondazione Nuto Revelli, Beatrice Verri. «Andava per i paesi a raccogliere le voci degli abitanti rimasti con magnetofono, voci che, come Fondazione, abbiamo trasferito su un archivio sonoro. Così nacquero libri come il Mondo dei Vinti e poi L’anello forte. Storia di Vita Contadina, poiché aveva capito che le donne sono il verso serbatoio di memoria di questi luoghi. È quello che a Paraloup trova posto nell’Anello Forte in Baita Perona, una finestra sulla condizione delle donne di campagna e montagna negli anni 60-70. Wecho in fondo, ripropone lo stesso metodo, ovvero l’ascolto come atto politico, e chiede alle donne di esprimersi su cosa significa, quali sono i sogni e i bisogni, del scegliere di vivere in montagna. D’altra parte, sono sempre più numerose le donne che ritornano nelle terre alte. Basti pensare che in provincia di Cuneo oltre il 60 per cento delle nuove attività imprenditoriali sopra i 600 metri sono avviate da donne. È indispensabile quindi, che politica, amministrazione, comunità, accolgano uno sguardo di genere, che si tenga conto delle richieste e necessità delle donne nell’elaborazione di politiche a livello locale e comunitario, o di strategia per un recovery plan della montagna».
Quello che le donne dicono
Dice Sara Donati, che con Serena Anastasi ha presentato Wecho a Paraloup, che quando si parla di politiche per la montagna la lettura di genere sparisce: «Nell’accordo di partenariato SNAI, nelle varie strategie approvate, o anche ricercando su siti come Montagne in Rete, Dislivelli, o Uncem, non cisono articoli o menzioni su questioni che riguardano genere, donna, parità» (Un inciso: in Migrazioni Verticali, di donne e montagna se ne scrive eccome e non so se questa sia una rassicurazione o una minaccia!). Mi sono trascritta così un po’ delle frasi riportate da Anastasi e Donati, e lasciate, tra settembre 2021 e febbraio 2022, da 151 donne che hanno partecipato alla ricerca con interviste, testimonianze (10 in particolare per un focus su Valle Stura), voci, idee, compilando il questionario reperibile sul sito Wecho. Per esempio: “Perché non dovrei vivere in montagna? Perché accontentarsi del classico stereotipo della vita in montagna come impresa eroica segnata da difficoltà e limiti? Proviamo a cambiare prospettiva!”; “Cosa voglio fare qui? Quello che già̀ sto facendo: insegnare. Continuare a sognare in grande, pur vivendo nel piccolo”; “In montagna non è possibile vivere di una sola cosa, l’economia montana deve poter basarsi su più̀ cose”; “La montagna è per le donne perché è uno spazio di cooperazione e lavoro collettivo”; e infine la mia preferita, “Territori marginali, ma marginali a chi? Per cosa?’’. Frasi e parole che in fondo dicono già tutto.
Montagna. Le parole per farlo.
Tutto il materiale testuale, audio e video raccolto sarà a disposizione di ricercatrici, studenti e appassionate/i sulla piattaforma Nuvolar nell’archivio digitale di Fondazione Nuto Revelli, in una sezione dedicata alle resistenze femminili. Un algoritmo di autoindicizzazione consentirà di svolgere ricerche tramite parole, luoghi, e concetti più usati. Ovviamente, nella nuvola delle parole, “cambiamento”, è un concetto che ritorna. Non a caso, uno degli effetti di Wecho, che ha contribuito alla riattivazione del Coordinamento Donne di Montagna nato in Val Maira nel 2004, è il progetto Costruire il Cambiamento. Ho fatto il viaggio verso Paraloup proprio con Patrizia Palonta, presidente dell’associazione, donna che la montagna la conosce fuori dalla retorica e che praticava queste valli da quando (e anche prima) il film di Giorgio Diritti, Il vento fa il suo giro, portasse nelle sale cinematografiche la realtà di queste valli. «È ancora così», chiosa sorridendo. E insieme qualcosa sta cambiando. «Le donne non nascondono il lato duro della montagna, eppure qui pensano di riuscire a realizzare qualcosa che altrove non era possibile. Una “donna di montagna” è chi accetta le sfide, chi decide di impegnarsi nella convinzione che il proprio impegno, se pur individuale, può cambiare le cose», dice.
Montagna. Il luogo delle possibilità
Ma non vale forse questo per tutte le altitudini? Mi dico di sì, che in fondo, al di là della conta dei metri sopra il livello del mare, forse accomuna di più quanto i territori siano “in salita”, ovvero stiano faticando per (ri)trovare un posto nel mondo. Quello che però appare chiaro dalle voci delle donne raccolte, è che, come ha ben sintetizzato la scrittrice Linda Cottino, la montagna sia ancora pensata come “spazio di libertà e di resistenza”, uno spazio, questa volta le parole sono di Cristina Clerico, assessora alle pari opportunità Comune di Cuneo, che consente “di essere protagoniste, maggiormente valorizzazione”. Ovviamente il campione intercettato e analizzato non ha pretese di essere rappresentativo (solo tre donne hanno meno di 26 anni), ma Wecho è solo un punto di partenza per cominciare a redigere un Position Paper dei bisogni delle donne nelle terre alte (le istanze estrapolate saranno restituite alla European Cultural Foundation affinché ne tenga conto nel suo lavoro di advocacy con gli organismi internazionali europei). È in definitiva un appello a tutte le donne della montagna. È un “Come va la baracca?”, la frase che Nuto Revelli usava per rompere il ghiaccio con i montanari, inviato digitalmente alle abitanti delle terre alte.
Buona Montagna.
Nota: Il progetto WECHO vede il coinvolgimento di Coordinamento Donne di Montagna e YWCA-UCDG Onlus ed è sostenuto della European Cultural Foundation, con il contributo di Fondazione CRC e Fondazione CRT, nell’ambito delle iniziative volte a promuovere la cultura della solidarietà.