Sono sempre stata un’esteta delle altitudini. Naturali e artificiali. Non poche volte mi hanno sorpreso incantata davanti a certe linde architetture residenziali di Sils Maria, Surlej o Scuol. Una volta, a Sils Baselgia, una signora è uscita in giardino per chiedermi il perché stessi da dieci minuti fissata su un particolare della grande vetrata. Perché è bella, le risposi. E lei mi ringraziò. L’architettura alpina ha sempre un grado di purezza in più. Sarà per la luce cristallina, i tagli, l’ossigeno che la trafigge, ma riesce sempre a godere di una materica aristocrazia degli spazi. E sarà anche perché spesso si tratta di rifugi del corpo e dell’anima, non di abitazioni che ci accolgono dopo giornate di lavoro, e lo spazio dell’otium ha di per sé una sacralità che di solito non si riserva a un edificio semplicemente residenziale.
Claudia Miller e Hannes Bäuerle sono due architetti di interni che hanno, a quanto pare, la mia stessa passione: l’architettura in montagna. Ne hanno fatto un bel libro, Alpine Retreats, il cui pregio maggiore è forse quello di rendere evidente come, nelle altitudini, l’architettura moderna e contemporanea acquisti subito una dimensione storica.
Venticinque i progetti di hotel, resort e case vacanza illustrati, recentissimi e rimodernati, ma tutti realizzati con materiali e metodi di costruzione sostenibili e in armonia con l’ambiente alpino e la tradizione costruttiva di regioni come il Vorarlberg, il Vallese, l’Alto Adige, i Grigioni o il Tirolo. Così questo libro di architettura si trasforma facilmente in una guida per vivere la montagna in modo diverso.
Nelle foto: il Dahoam Naturresidence, a Schenna dell’architetto Manuel Benedikte e Birgit Dosser (Innenarchitektur). Foto Thomas Linkel; due sale del ristorante Haus Hirt a Bad Gastein degli architetti Ike Ikrath & Elma Choung. Foto Klaus Vyhnalek.