Inutile fare giri di parole, la storia è di chi la racconta e per larga parte, la storia del design è stata raccontata da uomini. «È inevitabile che si faccia riferimento al proprio “fare”, al proprio linguaggio, e che si rileggano gli eventi secondo la propria specificità», dice Anty Pansera. Lei che del design è una storica sui generis, fresca di Compasso d’Oro alla carriera, e che non ha mai smesso di guardare alla cultura progettuale con curiosità interdisciplinare. «Devo ammettere che è stato nel 1999, quando l’Unione Donne Italia di Ferrara mi ha chiamato a curare la loro decima Biennale Donna dedicata al design, che mi sono costretta a una riflessione di genere. Passando al setaccio i miei libri, mi sono accorta che le donne rimaste erano ben poche. Ricordo che allora feci tre telefonate: a Gae Aulenti, che bocciò l’idea, a Cini Boeri, possibilista, e ad Anna Castelli Ferrieri, che mi spronò». Nasce così la mostra Dal merletto alla motocicletta, a cui ne seguirono altre sulla creatività femminile, fino a oggi e al saggio in preparazione sulle “ragazze” del Bauhaus che approfondisce un suo intervento all’Accademia di Belle Arti di Napoli in occasione del centenario della scuola tedesca.
«Con le celebrazioni del 2019, il riconoscimento alle designer del Bauhaus è arrivato, ma cambiare la narrazione comune è difficile». Difficile constatare per esempio che, dietro una facciata liberale si celava la solita cultura sessista. «Per statuto il Bauhaus era aperto a donne e uomini, ma quando Walter Gropius si accorse che vi si erano iscritte 84 donne e 79 maschi, lui che affermava che le donne non erano biologicamente fatte per l’architettura, avendo capacità di pensiero solo bidimensionale, fece in modo che il comitato che selezionava gli allievi le indirizzasse al laboratorio di tessitura, considerata arte minore. E d’altra parte, anche Oskar Schlemmer amava ripetere: “Dove c’è lana, c’è una donna che tesse, anche solo per passatempo”». Il risultato fu che, se nella così detta sezione femminile all’inizio si contavano 128 donne e 13 uomini, con il passare degli anni furono ancora i maschi a prevalere. «Il laboratorio di tessitura era quello che economicamente rendeva di più» spiega Pansera.
Ma nonostante le difficoltà, le donne furono capaci di ritagliarsi spazi importanti. «Gunta Stölzl risolse, grazie all’invenzione di un tessuto realizzato con un filato di ferro, l’instabilità della sedia di Marcel Breuer che oggi conosciamo come Wassilly. E Lilly Reich realizzò i cuscinetti di cuoio della famosa MR di Mies van der Rohe dando un contributo progettuale che sarà riconosciuto solo molto più tardi. Altre si ribellarono alla conduzione maschilista, come le ceramiste Marguerite Friedlaender e Margarete Heymann, perché è bene ricordare che erano le donne a occuparsi di manutenzione degli strumenti, pulizia dei laboratori e della cucina, senza per altro essere esentate dai lavori pesanti, come il trasporto dei sacchi d’argilla». Viene da chiedersi come sia stata possibile questa rimozione della progettualità femminile dalla storia delle arti applicate del XX secolo. Certo, molte finirono confinate nel più classico dei ruoli, quello della “moglie di”.
«L’architetta Lotte Beese diventerà Stam dopo aver sposato l’olandese Mart; così Anni Albers, nata Fleischmann, e che pure lavorò con lui per tutta la vita seguendolo in America. Ma anche Alma Buscher, prima Siedhoff, scultrice e progettista geniale di giocattoli e mobili componibili per bambino, dopo il matrimonio finì con essere moglie e madre. Infine, Irene Hecht, moglie di Herber Bayer e da alcuni definita la sua mano destra tanto da pensare che nel famoso carattere tipografico Architype Bayer ci sia molto della sua opera». Fu sempre una “moglie di”, Isa Frank, “dolce metà” dello stesso Gropius, a far conoscere il movimento negli Stati Uniti. «Una piccola rivincita» conclude Pansera, «è che il nuovo Bauhaus Museum a Weimar è firmato da una donna, Heike Hanada. Tuttavia, mi preoccupa ancora molto che, mentre università e scuole di architettura e design sono piene di donne, a capo di studi, aziende, comitati, se ne contano pochissime». Che le ragazze del Bauhaus non siano sole?
Articolo già pubblicato in Design Repubblica di ottobre 2020.
Nella foto, le ragazze che frequentavano il Bauhaus a Dessau nel 1927 (Courtesy of Bauhaus-Archiv, Berlin).