Alpine Pearls è stato forse uno dei primi “marchi” per quello che oggi chiamiamo in modo diffuso turismo sostenibile. Nato nel 2006, Alpine Pearls è stato quindi un pioniere capace di creare una rete internazionale di destinazioni selezionate dell’arco alpino, che avrebbero dovuto rispettare dei criteri di sostenibilità, rispetto del territorio, a partire dalla mobilità dolce. Passati gli anni, tanti, cambiate sensibilità e domanda, anche Alpine Pearls si adegua.
«Siamo nati come associazione di comuni volenterosi», dice il referente per l’Italia Giovanni Vassena. «Nel 2006 puntavano a mettere insieme turismo e mobilità sostenibile, certo avevamo una sorta di catalogo dei criteri legati che le destinazioni dovevano rispettare inviando ogni anno una sorta di autovalutazione. All’inizio le località italiane erano solo tre (Chamois, Forni di Sopra e Sauris, che ha la stazione dei treni più vicina a 80 km di distanza), oggi sono dodici e dimostrano, verso queste tematiche, un interesse maggiore rispetto a quelle di Austria e Svizzera. Oggi che è tempo di una fase 2 per Alpine Pearls che comincerà proprio nei prossimi mesi.». Ma qual è il cambiamento a cui accenna Vassena?
Innanzi tutto Alpine Pearls cessa di essere semplice associazione e si trasforma in GECT, uno dei gruppi europei di cooperazione territoriale che consentono ai partner di attuare progetti comuni, condividere conoscenze e migliorare il coordinamento della pianificazione territoriale. Ma forse le modifiche più importanti si leggono nella Road Map che indica i criteri di base e il piano d’azione di 5 anni per avere il famoso “marchio” che garantisce di avere a che fare con una destinazione sostenibile.
La seconda novità è che il focus mobilità, obbligatorio per i membri, sarà affiancato da un impegno a raggiungere gli obiettivi di sostenibilità (SDG) delle Nazioni Unite e ad attivarsi per rafforzare e rendere credibile l’identità del marchio. Cosa significa in concreto? Significa che le Alpine Pearls non dovranno più lavorare genericamente per una mobilità sostenibile, ma dovranno lavorare per il miglioramento della qualità ambientale, dovranno dimostrare di essere un esempio su come tutelare l’ambiente e la biodiversità, avviare, per un maggiore benessere della comunità, progetti e iniziative per la salvaguardia del paesaggio.
La terza novità, considerato che in passato praticamente non esisteva una vera forma di controllo (era prevista solo un’autovalutazione annuale più una verifica a campione), è la costituzione di un core team in loco con una funzione di guida per tutte le attività, e che comprenderà i delegati di Alpine Pearls, un rappresentante del Comune, dell’associazione turistica, degli albergatori e altri partner strategicamente rilevanti. Con, almeno una volta ogni quattro mesi, una riunione con il referente per condividere lo stato dei lavori..
Si tratta, va da sé, di un grosso passo avanti, e soprattutto di un passo necessario per lo stesso “marchio” Alpine Pearls che rischiava, con un dibattito ormai così specializzato e competente sulla sostenibilità e sul turismo green, di perdere di autorevolezza. Alcuni comuni, certo dovranno mettersi al lavoro. Il caso spinoso più recente è forse quello del Comune di Cogne che proprio in questa settimana si trova in balia della così detta “questione Grauson”, ovvero un gruppo di residenti, abituali e occasionali, che a vario titolo, come Comitato Salviamo il Vallone del Grauson, hanno lanciato una petizione su Change per impedire la realizzazione di una strada in un luogo ancora incontaminato, una petizione che in sei giorni ha superato le 24mila firme attirando le attenzioni della stampa locale e nazionale.
Perché è proprio questa la sfida: “marchi” che devono sostanziare la loro autorevolezza nella certificazione, e destinazioni, soprattutto in montagna, che sempre meno si possono permettere di fare green washing.
Buona Montagna
(nella foto di apertura, la valle di Cogne verso il Gran Paradiso vista dai pascoli di Gimillan)